n. 6 - Giugno 2015    
 
 
     
Dal Congresso nazionale ICAR 2015
Nuovi regimi terapeutici, nuove sfide per il trattamento dell’epatite cronica C
 
Nonostante l’introduzione dei DAA abbia rivoluzionato i paradigmi per il trattamento dell’epatite cronica C, rimangono popolazioni di pazienti per cui la cura continua a rappresentare una sfida e la cui gestione impone un approccio personalizzato e non uno standard di trattamento. Ed è per questo motivo che le recenti raccomandazioni dell’EASL, oltre a stabilire priorità tra i pazienti candidati al trattamento più allargate e lungimiranti di quanto concesso oggi in Italia, differenziano una varietà di opzioni di trattamento per genotipo di HCV in uno sforzo di ottimizzazione delle probabilità di risposta al trattamento anti-HCV. Con l’accumularsi delle evidenze degli studi clinici e la disponibilità dei dati di reallife emergono infatti nicchie di bisogno e situazioni clinicamente impegnative per cui la promessa di una cura universale e semplificata per la malattia da HCV, inizialmente auspicata dai nuovi farmaci antivirali, non può essere completamente soddisfatta.     
Al 7° Congresso nazionale ICAR, sono state affrontate le problematiche emergenti nel paziente con HCV rispetto a diverse popolazioni di pazienti, come i soggetti con insufficienza renale o dializzati in cui la presenza di infezione da HCV solleva importanti problematiche di gestione, oppure i pazienti con malattia scompensata, in lista di trapianto o trapiantati in cui la scelta terapeutica si colloca in un contesto di variabili che devono essere attentamente soppesate.
Le interazioni farmacologiche dei DAA costituiscono un altro aspetto importante della gestione soprattutto dei pazienti con coinfezione da HIV, ormai definitivamente usciti dalla lista delle popolazioni speciali, lista che al momento classifica i pazienti con infezione da genotipo 3 come i più difficili da curare e per i quali occorre identificare la strategia di trattamento più efficace tra quelle al momento disponibili.
Argomenti, questi ultimi due, che sono stati esaminati durante il Congresso dai professori Giovanni Di Perri - Ospedale Amedeo di Savoia Università degli Studi di Torino - e Christophe Hézode - Hôpital Henri Mondor di Créteil in Francia.
Le caratteristiche esclusive dell’infezione da HCV GT3
 
Le infezioni da genotipo 3 costituiscono il 10-15% del serbatoio mondiale di HCV, hanno elevata prevalenza in Europa tra i consumatori di droghe per via iniettiva, e un impatto significativo per morbidità e mortalità sui sistemi socio-sanitari. Evidenze sperimentali e cliniche dimostrano che il genotipo 3 di HCV - spiega il professor Giovanni Di Perri - presenta delle caratteristiche uniche che lo associano a grave steatosi, rapida progressione della malattia epatica, rischio oncogenico e ridotta risposta alle terapie antivirali, DAA inclusi. ► continua
HCV GT3: raccomandazioni EASL e lo studio ALLY-3
 
Al momento la migliore combinazione per il trattamento dei pazienti con genotipo 3 è data dal regime con daclatasvir più sofosbuvir con o senza ribavirina. Le raccomandazioni dell’EASL giudicano infatti il trattamento sofosbuvir e ribavirina subottimale, considerano quindi la triplice combinazione con Peg-IFN/RBV più sofosbuvir e non raccomandano la combinazione sofosbuvir e ledipasvir, continua il professor Giovanni Di Perri (Figure 3 e 4). I trial clinici condotti con ledipasvir non consentono di discriminare il ruolo di ledipasvir e ribavirina in combinazione con sofosbuvir, non disponendo di bracci di controllo con i soli sofosbuvir e ribavirina. ► continua
HCV GT3: gli studi in real life
 
I dati degli studi in real life confermano che la presenza di cirrosi caratterizza tassi di successo virologico ridimensionati nei pazienti con infezione da genotipo 3, soprattutto se experienced. I dati preliminari dell’NHS Early access program (EAP) inglese - sottolinea il professor Christophe Hézode - si riferiscono a una coorte di quasi 500 pazienti (235 con infezione da genotipo 1 e 189 da genotipo 3) trattati per 12 settimane con sofosbuvir, con e senza ribavirina, più un inibitore di NS5A (daclatasvir o ledipasvir). ► continua
Interazioni farmacologiche e pazienti coinfetti HIV/HCV
 
Gli studi con i regimi completamente orali con i DAA hanno finalmente colmato il divario di trattamento tra i pazienti mono e coinfetti con HIV. La possibilità di abbattere l’impatto della malattia epatica nei pazienti con coinfezione HIV/HCV è alla base delle raccomandazioni dell’EASL che sottolinea come questi pazienti abbiano priorità di trattamento indipendentemente dallo stadio di fibrosi, con l’accorgimento di considerare il potenziale di interazioni farmacologiche tra DAA e farmaci antiretrovirali (Figure 14 e 15). ► continua
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