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Le resistenze agli analoghi nucleotidici anti-HBV nella pratica clinica |
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a cura di Valentina Svicher e Carlo Federico Perno,
Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” |
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Introduzione |
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L’avvento dei farmaci nucleos(t)idici anti-HBV ha rivoluzionato l’approccio al paziente con epatite B cronica, consentendo di raggiungere e mantenere nel tempo la soppressione virologica in una fascia sempre più ampia di pazienti. Ciò è cruciale in quanto la “clearance” dell’HBV-DNA è ad oggi il principale fattore predittivo di rallentata progressione della malattia verso le sue gravi complicazioni, quali la cirrosi scompensata e l'epatocarcinoma (1) (Figura 1).
I farmaci antivirali, oggi disponibili per il trattamento dell’epatite B cronica, hanno un unico bersaglio farmacologico rappresentato dalla trascrittasi inversa, enzima cruciale per la replicazione del virus. Questi farmaci condividono il medesimo meccanismo d’azione: sono in grado di intercalarsi nel DNA inibendo la sintesi del genoma virale, e quindi la produzione di virus. Per poter legare il DNA e quindi essere attivi, questi farmaci devono legare 3 gruppi fosforici. Questa caratteristica è importante perché consente la classificazione dei farmaci anti-HBV in due grandi categorie: |
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gli inibitori nucleosidici, che devono subire ben 3 fosforilazioni da parte di enzimi cellulari. A questo gruppo appartengono la lamivudina, entecavir e telbivudina; |
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gli inibitori nucleotidici, che hanno invece già incorporato un primo gruppo fosforico e devono pertanto subire solo 2 fosforilazioni. A questo gruppo appartengono adefovir e tenofovir. |
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HBV e farmacoresistenza |
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L’uso improprio e non congruo dei farmaci antivirali può determinare la comparsa di ceppi farmacoresistenti. La farmacoresistenza denota la capacità di HBV di replicare anche in presenza del farmaco ed è conferita da specifiche mutazioni che compaiono nella trascrittasi inversa. Grazie a queste mutazioni, la trascrittasi inversa non è più inibita dal farmaco e può procedere indisturbata nella sintesi del genoma virale. Ciò consente la produzione di nuove partice lle virali, evento che conduce ad un aumento della viremia e alla conseguente progressione dell’epatopatia. Numerosi studi hanno infatti dimostrato come elevati livelli di HBV-DNA siano correlati in modo significativo ad un aumento dei fenomeni di necrosi infiammatoria e fibrosi epatica e ad una maggiore progressione verso la cirrosi e l’epatocarcinoma (3). La farmacoresistenza insorge a causa dell’elevata variabilità genetica di HBV. Quest’ultimo, infatti, è il virus a DNA più variabile, con una variabilità genetica inferiore solo a quella di virus a RNA, quali HIV e HCV, considerati gli archetipi di virus variabili per eccellenza. » continua |
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Profili di resistenza ad adefovir
Adefovir è il primo inibitore nucleotidico della trascrittasi inversa approvato per il trattamento dell’epatite B cronica. » continua |
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Profili di resistenza a tenofovir
Tenofovir, approvato nel 2009 per il trattamento dell’epatite B cronica, è un farmaco potente con una alta barriera genetica alla resistenza. » continua |
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Farmacoresistenza nel paziente drug-naive
Diversi studi hanno valutato la presenza di mutazioni coinvolte nella resistenza ai farmaci anti-HBV in pazienti naive al trattamento antivirale. » continua |
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Farmacoresistenza e immunogenicità virale
Un argomento associato alla farmacoresistenza di potenziale, ma notevole, rilevanza clinica, è la capacità di alcune forme di farmacoresistenza di HBV di influenzare anche l’immunogenicità del virus stesso. » continua |
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Conclusioni |
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La farmacoresistenza è un ostacolo importante per il mantenimento a lungo termine del successo terapeutico, che ha importanti conseguenze sull’evoluzione della malattia. La sua prevenzione, e il suo controllo una volta comparsa, rimangono elementi fondamentali per garantire un successo duraturo nel tempo, ricordando che HBV ha un potere oncogeno che può prescindere dalla cirrosi epatica (al contrario di HCV), e che pertanto il controllo della viremia nel tempo è molto importante. I farmaci di nuova generazione danno notevole garanzia di mantenimento di viremia soppressa anche in pazienti già resistenti a farmaci più antichi. L’uso del test di resistenza è vitale in questo contesto, in quanto consente di valutare il profilo di resistenza, la sua reale presenza (molti pazienti falliscono senza mutazioni, soprattutto se a bassa viremia), e quindi selezionare farmaci moderni senza preclusioni di principio. In tale contesto, fallimenti ad adefovir, se correttamente analizzati tramite il test di resistenza, non precludono di principio l’uso di alcun farmaco (incluso tenofovir), sempre che il profilo mutazionale lo permetta, e garantiscono nelle linee terapeutiche successive un elevato tasso di successo virologico e controllo di malattia a medio-lungo termine. |
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