La progressione di malattia nell’epatite cronica B |
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L’infezione cronica da virus dell'epatite B (HBV) causa nel mondo più di 500.000 morti ogni anno. La quasi totalità di questi decessi anticipati a causa del virus B è determinata dalle complicanze che insorgono nei pazienti con fibrosi avanzata/cirrosi. In Italia, centinaia di migliaia di persone hanno un’epatite cronica B il cui decorso è generalmente evolutivo poiché il progressivo accumulo di tessuto fibroso nel fegato determina l’instaurarsi della cirrosi e delle sue temibili complicanze quali ascite, encefalopatia porto-sistemica, emorragia da varici esofagee ed epatocarcinoma (1-3) (Figura 1). Negli anni abbiamo compreso che l’unica reale possibilità per bloccare la naturale evoluzione dell’infezione cronica attiva è di considerare questi pazienti per i trattamenti antivirali, prima che si instauri il danno d’organo rappresentato dalla cirrosi. Da tempo, infatti, abbiamo terapie in grado di sopprimere la replicazione virale, normalizzare le transaminasi, ridurre la necro-infiammazione epatica e arrestare il decorso dell’epatopatia. Gli analoghi nucleos(t)idici di terza generazione ottengono nella gran parte dei pazienti una persistente soppressione virologica in grado di evitare la progressione della malattia. Tuttavia, ancora oggi molti pazienti arrivano all’attenzione dei clinici già con una malattia avanzata, spesso addirittura scoperta a seguito dell’insorgere delle complicanze. Questi pazienti rappresentano una sfida per il medico; in quelli con una cirrosi compensata l’obiettivo del trattamento è bloccare l’ulteriore progressione di malattia, evitando lo sviluppo di scompenso epatico e l’insorgenza di epatocarcinoma, mentre in quelli scompensati l’obiettivo è ricompensare il paziente aumentandone la sopravvivenza. |