La regressione della fibrosi con tenofovir
 
E’ però verosimile che all’interno della definizione di cirrosi vi siano delle ulteriori suddivisioni basate sullo spessore dei setti fibrosi e sulle dimensioni dei noduli tanto che, probabilmente, essa andrebbe sotto-classificata in base al grado di ipertensione portale o in funzione di parametri clinici, biochimici e strumentali. In ogni caso, l’identificazione della cirrosi condiziona la gestione del paziente, sia per quanto concerne la scelta terapeutica sia per il successivo follow-up in termini di sorveglianza per l’identificazione precoce del tumore primitivo epatico e il monitoraggio delle varici gastro-esofagee.
Ad oggi, nello studio di Marcellin e coll. (18) non sono stati osservati casi di scompenso epatico durante i 5 anni di trattamento, mentre non è nota la reale incidenza di epatocarcinoma suddivisa nel sottogruppo dei pazienti con e senza miglioramento istologico. Per comprendere completamente la rilevanza di questi dati sulla regressione della fibrosi nella cirrosi da virus B è necessario attendere il tempo sufficiente a dimostrare che nel sottogruppo dei pazienti che hanno avuto la regressione della cirrosi vi sia una netta riduzione di incidenza dell’epatocarcinoma, una minor necessità di trapianti epatici, una miglior qualità della vita e, in ultima analisi, un’aumentata sopravvivenza rispetto ai pazienti che rimangono con una cirrosi istologicamente definita.

Se è vero che la soppressione persistente della replicazione virale nei pazienti senza malattia evoluta si associa a più favorevoli esiti clinici a distanza, la regressione della cirrosi rimane l’unica strategia a oggi percorribile per modificare la storia clinica di questi pazienti o, quantomeno, per mantenere questi soggetti nello stato di compenso epatico e consentire loro di affrontare i trattamenti radicali dell’epatocarcinoma in modo da garantire elevati tassi di sopravvivenza libera da malattia.
I dati sulla regressione della fibrosi epatica osservati dopo trattamento efficace nei pazienti con cirrosi da virus C vanno in questa direzione, dimostrando chiaramente che la regressione della fibrosi si associa a migliori risultati clinici a lungo termine. Mallet e coll., in una coorte di 96 pazienti cirrotici con epatite C trattati con interferone, hanno dimostrato che chi otteneva una risposta virologica sostenuta aveva un numero significativamente inferiore di eventi (ascite, encefalopatia, sanguinamento da varici, peritonite batterica spontanea, epatocarcinoma e trapianto di fegato) ed una migliore sopravvivenza rispetto ai non-responder ma, cosa più importante, che tra coloro che avevano una documentata regressione della fibrosi nella biopsia di follow-up non vi era alcun evento ed alcun decesso per cause epatiche (19).
I dati dello studio di Marcellin e quelli riportati nei soggetti con epatite C consentono di affermare che, nella gran parte dei pazienti cirrotici, la soppressione virologica determina la regressione della fibrosi ed il conseguente impatto positivo sugli esiti clinici a distanza, tanto da poter affermare che in questi pazienti la regressione della fibrosi, più che la sola soppressione virologica, dovrebbe essere il principale obiettivo della terapia in quanto vero indicatore del migliorato outcome clinico.
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