La cura dell’infezione da Human Immunodeficiency Virus (HIV) rappresenta una delle sfide più importanti per la salute globale. La comprensione dei marker di questa infezione e del loro significato nel corso della storia naturale della malattia (la diagnosi precoce, il monitoraggio della progressione della malattia e lo sviluppo di strategie terapeutiche efficaci) è cruciale. In questo contesto, l’HIV-DNA emerge come un marker di particolare rilevanza, fornendo informazioni preziose sulla persistenza del virus e sul suo impatto su diversi compartimenti corporei.
HIV segue un percorso biologico che coinvolge l’integrazione del suo materiale genetico mediante la formazione di HIV-DNA. Questo materiale genetico integrato persiste all'interno delle cellule infette, contribuendo alla cronicità dell'infezione e rappresentando un punto chiave della persistenza e reservoir nelle diverse fasi della malattia (1).
La terapia antiretrovirale (ART) inibisce la replicazione virale e permette il raggiungimento di un controllo virologico ottimale con l’abbattimento dell’HIV-RNA plasmatico e garantisce l’interruzione della progressione alla Sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS). Dopo l’inizio della ART, la presenza di HIV-DNA nel sangue periferico arriva ad un plateau che rimane stabile per anni nonostante un'iniziale rapida riduzione (2).
La persistenza di HIV-DNA integrato a livello dei linfociti T CD4+ di memoria in caso di sospensione della terapia con conseguente produzione di virioni maturi è alla base della ripresa di viremia ed è inoltre causa dello stato infiammatorio cronico dei pazienti in terapia. La replicazione residua nei serbatoi virali può infatti contribuire a mantenere lo stato di disregolazione immunitaria e ritardare il recupero immunologico nei pazienti con infezione da HIV in trattamento.
Mentre la valutazione dell’HIV-RNA è comunemente utilizzata per la diagnosi e il monitoraggio della risposta alla terapia, l’analisi dell’HIV-DNA non è utilizzata nella pratica clinica, però rappresenta un importante marcatore sulla persistenza del virus nell’organismo a livello dei diversi serbatoi virali.
Diversi studi supportano il valore predittivo dell’HIV-DNA nella storia naturale dell’infezione. È stato dimostrato come i livelli di HIV-DNA siano indicatori della progressione verso l’AIDS, indipendentemente dai valori di HIV-RNA e della conta delle cellule T CD4+. Inoltre, i livelli di HIV-DNA sono un marcatore predittivo del tempo di rebound dell’HIV-RNA plasmatico a seguito dell’interruzione del trattamento, con i più bassi livelli correlati con una maggiore probabilità di mantenere un migliore controllo virale (3,4).
Esistono numerosi compartimenti tissutali che fungono da reservoir di HIV e che si formano fin dalle prime fasi dell’infezione; essi sono rappresentati dagli organi linfoidi, dal sistema nervoso centrale, dal tratto gastrointestinale e dalle gonadi, da questi distretti, il serbatoio virale latente può riattivarsi periodicamente.
I livelli di HIV-DNA nelle cellule T CD4+ sono da 2 a 12 volte più elevati nel duodeno, nell’ileo, nel colon destro e nel retto rispetto al sangue periferico, probabilmente a causa di una maggiore percentuale di cellule T CD4+ che esprimono il co-recettore CCR5, maggiormente suscettibili all’infezione. È possibile ipotizzare che l’intestino ospiti l’80-95% di tutte le cellule infette da HIV presenti nel corpo umano e che quindi costituisca uno dei più importanti serbatoi per la persistenza della malattia (5).
Le sedi anatomiche del reservoir virale sono spesso poco accessibili ai farmaci (6) e molti studi sono in corso per ottenere la cura eradicante (CURE) con la finalità di possibile interruzione della ART.
I reservoir di HIV rappresentano il principale ostacolo all’eradicazione dell’infezione, pertanto una valutazione accurata dell’HIV-DNA potrebbe essere utile ad identificare le migliori strategie di cura. I valori di HIV-DNA possono essere utili per meglio selezionare i pazienti candidati ad una semplificazione della terapia.
Lo studio del Policlinico Universitario Tor Vergata
In questo studio condotto presso il Policlinico Universitario Tor Vergata di Roma, dal giugno 2019 al febbraio 2021, è stata valutata l’entità dell’HIV-DNA nel tessuto linfatico della mucosa intestinale (GALT) e nelle cellule del sangue periferico di pazienti in soppressione virologica (HIV-RNA <50 cp/mL da almeno 12 mesi), al fine di valutare l’impatto dell'ART sui serbatoi tessutali di HIV.
Sono stati arruolati 41 pazienti adulti con infezione da HIV-1 in terapia ART con un regime a tre farmaci (3DR) composto da un backbone nucleosidico più un terzo farmaco. Per ciascun paziente sono stati raccolti un campione di sangue periferico e biopsie rettali per caratterizzare il serbatoio dell’HIV nelle cellule mononucleate del sangue periferico (PBMCs) e nel GALT. Le caratteristiche della popolazione sono riportate nella Tabella 1.
I livelli di HIV-DNA nel GALT sono risultati significativamente correlati a quelli nei PBMCs (p=<0.001) (Figura 1), allo zenith di HIV-RNA (p=0.05) e alla conta dei linfociti T CD8+ (p=0.009). I valori di HIV-DNA nel sangue periferico erano direttamente correlati con lo zenith dell’HIV-RNA (p=0.04), la viremia residua (p=0.05), i linfociti T CD4+CD38+ nel GALT (p=0.028) e la percentuale dei CD8+CD38+ nel sangue periferico (p=0.026).
I valori di HIV-DNA sono risultati invece inversamente correlati al nadir dei CD4+ (p=0.023) e al rapporto CD4+/CD8+ nel sangue (p=0.037). I valori di HIV-DNA nel sangue periferico erano direttamente correlati con lo zenith dell’HIV-RNA (p=0.04), la viremia residua (p=0.05), i linfociti T CD4+CD38+ nel GALT (p=0.028) e la percentuale dei CD8+CD38+ nel sangue (p=0.026) e inversamente correlati al nadir dei CD4+ (p=0.023) e al rapporto CD4+/CD8+ nel sangue (p=0.037).
L'analisi farmacologica
Al fine di valutare quanto la penetrazione tessutale dei farmaci antiretrovirali avesse potuto influenzare i livelli di HIV-DNA, sono stati parallelamente condotti studi di dosaggio a livello dei tessuti esplorati. L’analisi farmacologica ha confermato una differenza significativa nella concentrazione del farmaco tra i compartimenti, con concentrazioni notevolmente più elevate nel plasma rispetto al tessuto rettale, confermando come i reservoir siano difficilmente raggiunti dalla terapia. Il rapporto concentrazioni del farmaco tessuto/plasma è risultato più elevato nei pazienti trattati con elvitegravir/cobicistat (EVG/c) e con inibitori non nucleosidici della trascrittasi (NNRTI), sia rilpivirina (RPV) che efavirenz (EFV) (rapporto mediano rispettivamente 2.8, 1.7 e 1.9) rispetto gli altri farmaci. Non è stata riscontrata nessuna correlazione tra le concentrazioni dei farmaci e i livelli di HIV-DNA nel GALT. Questa evidenza suggerisce che la persistenza dell’HIV-DNA nel tessuto rettale potrebbe essere indipendente dalle concentrazioni farmacologiche in questo distretto. Non è stata riscontrata inoltre alcuna differenza nei livelli di HIV-DNA nel GALT e nei PBMCs in relazione al terzo farmaco utilizzato.
Questo studio dimostra che nei pazienti sottoposti a ART 3DR e con soppressione virologica persistente, il serbatoio tessutale dell’HIV misurato come HIV-DNA totale associato alle cellule del GALT rettale, è strettamente correlato ai livelli di HIV-DNA nei PBMCs (Figura 1) e può essere utilizzato come marker valido della persistenza dell’entità del serbatoio virale.
I livelli più alti di HIV-DNA, sia nel GALT che nei PBMCs, sono correlati ad un profilo immunologico peggiore in termini di conta di linfociti T CD4+ e livelli più alti di linfociti T CD8+ nel sangue periferico, tipico di pazienti con infezione avanzata. Inoltre l’analisi in citometria a flusso ha mostrato che i livelli di HIV-DNA sulle cellule periferiche ben correlano con l’attivazione dei linfociti, con livelli più elevati nei pazienti maggiormente immunoattivati nei quali sono stati riscontrati valori più elevati di linfociti CD4+/CD38+ nel sangue periferico e maggiori valori di CD8+/CD38+ sul GALT, il che fa pensare che una maggiore quantità di virus nei serbatoi può perpetuare lo stato infiammatorio caratteristico dei pazienti positivi all’HIV.
La presenza di HIV-DNA nel GALT di pazienti in soppressione virologica ottimale conferma che la ART agisce poco sul serbatoio virale in questo tessuto (7) e che i valori di HIV-DNA possono rappresentare un marcatore importante della persistenza e dell’andamento dell’infezione da HIV anche in presenza di una terapia efficace. I risultati dello studio mostrano inoltre come i livelli di HIV-DNA contribuiscono all’infiammazione sistemica e all’attivazione immunitaria.
- Rouzioux C, Trémeaux P, Avettand-Fenoël V. HIV DNA: a clinical marker of HIV reservoirs. Curr Opin HIV AIDS. 2018;13(5):389-394.
- Assoumou L, Weiss L, Piketty C, et al; ANRS 116 SALTO study group. A low HIV-DNA level in peripheral blood mononuclear cells at antiretroviral treatment interruption predicts a higher probability of maintaining viral control. AIDS. 2015;29(15):2003-7.
- Besson GJ, Lalama CM, Bosch RJ, et al. HIV-1 DNA decay dynamics in blood during more than a decade of suppressive antiretroviral therapy. Clin Infect Dis. 2014;59(9):1312-21.
- Chun TW, Nickle DC, Justement JS, et al. Persistence of HIV in gut-associated lymphoid tissue despite long-term antiretroviral therapy. J Infect Dis. 2008;197(5):714-20.
- Kimata JT, Rice AP, Wang J. Challenges and strategies for the eradication of the HIV reservoir. Curr Opin Immunol. 2016;42:65-70.
- Moretti S, Schietroma I, Sberna G, et al. HIV-1-Host Interaction in Gut-Associated Lymphoid Tissue (GALT): Effects on Local Environment and Comorbidities. Int J Mol Sci. 2023;24(15):12193.
- Piketty C, Weiss L, Assoumou L, et al.; ANRS 116 SALTO Study Group. A high HIV DNA level in PBMCs at antiretroviral treatment interruption predicts a shorter time to treatment resumption, independently of the CD4 nadir. J Med Virol. 2010;82(11):1819-28.