Il virus dell’epatite B (HBV) e quello dell’epatite C (HCV) sono trasmessi allo stesso modo, mediante inoculazione diretta di sangue o liquidi biologici contaminati; non sorprende dunque che varie persone abbiano contratto entrambe le infezioni attraverso lo scambio di siringhe - come tra i tossicodipendenti, attraverso le trasfusioni - come succedeva in passato - o a seguito di attività sessuale promiscua non protetta. Nella doppia infezione HBV/HCV, l’HCV domina di solito sull’HBV e ne inibisce l’espressione virologica e clinica, rappresentando di fatto la causa unica o maggiore del danno epatico. Poiché è buona regola trattare l’infezione virale dominante, nei pazienti coinfetti da HBV/HCV tradizionalmente si tratta per primo l’HCV.
Paradossalmente, tuttavia, il controllo e la cura dell’HCV può riattivare l’infezione da HBV, problema già noto con l’uso dell’interferone; in una meta-analisi, Chen e coll. (1) hanno rilevato un rischio del 14,5% di riattivazione dell’HBV nei pazienti coinfetti guariti dell’ HCV con la citochina.
Nell’ottobre del 2016 la Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti ha emesso un Boxed Warning (2), il più alto livello d’allarme dell’Agenzia, sul rischio di riattivazione dell’HBV in pazienti con epatite C trattati con antivirali diretti (DAA) contro l’HCV; fra novembre 2013 e luglio 2016, l’FDA aveva identificato 24 casi di riattivazione dell’HBV, che in alcuni pazienti aveva suscitato gravi problemi epatici, fino alla morte. Ne è derivata l’ingiunzione da parte dell’Agenzia di aggiungere l’avvertimento del rischio di riattivazione dell’HBV al foglietto illustrativo dei DAA, e l’invito a determinare e monitorizzare l’HBV in tutti i pazienti HBV coinfetti con epatite C sottoposti a terapia con DAA. All’allarme della FDA hanno fatto eco analisi retrospettive e prospettiche mirate a quantificare e caratterizzare il rischio di riattivazione dell’HBV sia nei soggetti con infezione da HBV in atto (HBsAg positivi) che in quelli HBsAg negativi con infezione da HBV risolta, che esibiscono anticorpi contro il virus e sono verosimilmente portatori di HBV occulto.
In uno studio retrospettivo nei centri della Veterans Administration americana (3), dei 62.290 pazienti con epatite cronica C trattati con DAA che hanno completato la terapia, 377 erano HBsAg positivi (0,75%) ed il 42,2% avevano anticorpi contro l’HBV. L’infezione da HBV si è riattivata (>1.000 IU/ml in HBV-DNA) in 8 azienti HBsAg positivi ed in un paziente con l’anticorpo contro l’HBcAg; le transaminasi si sono alzate a valori > 2 volte la norma in 3 dei primi pazienti.
In una revisione e metanalisi dell’esperienza internazionale (4) sono stati considerati 242 pazienti HBsAg positivi e 1.379 con infezione da HBV risolta, trattati con vari DAA orali; la riattivazione dell’HBV (> 2 log10 in HBV DNA) ha avuto luogo nel 24% dei primi e nell’1,4% dei secondi ed ha indotto epatite nel 9% degli HBsAg positivi. Il rischio relativo di epatite è stato significativamente minore nei pazienti HBsAg positivi con HBV DNA sotto il limite di quantificazione al baseline, in confronto a quelli con HBV DNA quantificabile; vi sono stati tre eventi clinici maggiori legati alla riattivazione, uno scompenso epatico e due insufficienze epatiche gravi, una delle quali ha richiesto trapianto. Non v’è stata riattivazione nei pazienti con infezione da HBV risolta.
Uno studio a Palermo (5) ha considerato 104 pazienti cirrotici trattati con DAA orali, di cui il 7,7% HBsAg positivi ed il 35,6% con infezione da HBV risolta; la riattivazione dell’HBV ha avuto luogo nel 24% dei pazienti HBsAg positivi ma solo nell’1,4% di quelli con infezione da HBV risolta. Aumento degli enzimi epatici senza conseguenze cliniche è stato segnalato anche in uno di due pazienti HBsAg-positivi coinfetti trattati con DAA a Bologna (6).
Uno studio in Taiwan (7) ha considerato 7 pazienti HBsAg-positivi e 57 con infezione HBV pregressa. In terapia con i DAA quattro dei primi hanno riattivato l’HBV (> 1 log in HBV-DNA) (57,1%) verso nessuno dei secondi; la riattivazione ha indotto aumento delle transaminasi e della bilirubina in un paziente.
Dai dati che dimostrano prevalenze variabili ma non trascurabili di riattivazione HBV, cui fa fronte impegno clinico anch’esso variabile ma talora molto importante, (nei 29 casi originariamente segnalati dalla FDA (8), tre sono andati incontro a scompenso epatico e di essi due sono morti ed uno è stato trapiantato), emerge il consenso attuale a profilassare con un antivirale contro l’HBV tutti i soggetti HBsAg positivi sottoposti a terapia con DAA, in particolare quelli con HBV-DNA quantificabile al baseline. E’ ovvia l’analogia con quanto viene raccomandato nei pazienti HBV trattati con potenti immunosoppressori (anche se il rischio di epatite è minore); l’analogia si estende alla raccomandazione di testare per HBV tutti i pazienti con epatite cronica C da trattare con DAA, ed alla proposta di mantenere la profilassi specifica contro l’HBV almeno per 12 mesi anche in questo contesto (4).
Diversamente, nei soggetti con infezione risolta il rischio di riattivazione di un’infezione HBV occulta è molto basso, intorno all’1% (3, 4, 9); non merita profilassi antivirale specifica ma solo monitoraggio della viremia di HBV e degli enzimi epatici.
Bibliografia
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