Il costante incremento e l’evoluzione peggiorativa dell’antimicrobicoresistenza, rendono urgente porre in atto programmi di Antimicrobial Stewardship (AS) in grado di ottimizzare, in ogni contesto assistenziale, le prescrizioni di antimicrobici.
È noto quanto l’esposizione ad antimicrobici alteri il fragile ecosistema intestinale, riducendo la capacità intrinseca del microbiota di resistere alla colonizzazione esogena da germi resistenti e/o ad elevata patogenicità. La gravità della disbiosi è direttamente proporzionale al livello ed al tempo di esposizione, e di conseguenza al rischio di colonizzazione da germi multi-resistenti. Ma il microbiota intestinale è dotato di una elevata resilienza, per cui, alla sospensione dell’esposizione ad antimicrobici, è in grado di recuperare rapidamente una condizione di eubiosi.
La finestra temporale a disposizione dei batteri MDR per colonizzare l’ecosistema intestinale è pertanto molto stretta, e fortemente embricata all’assunzione di antimicrobici (1).
Tutto ciò spiega perché ridurre i tempi di trattamento delle malattie di infezione sia un principio cardine della AS, sebbene si scontri con una tradizione di medicina difensiva, basata sul concetto che sia meglio eccedere in eccesso che in difetto, regola del tutto errata quando si prescriva un antimicrobico, il cui utilizzo deve sempre esser letto in un’ottica di rapporto rischio/beneficio.
In realtà, nonostante una survey sull’argomento condotta da ESCMID nel 2018 abbia dimostrato come solo il 47% di 749 partecipanti fosse pronto a ridurre i tempi di trattamento in 15 specifiche condizioni cliniche (2), negli ultimi due decenni la letteratura su tale argomento si è progressivamente arricchita di evidenze in favore di un contenimento dei tempi di terapia (Tabella 1).
Le polmoniti acquisite in comunità
Il setting con maggiori dati di letteratura è certamente rappresentato dalle polmoniti acquisite in comunità (CAP).
Nel 1998, venne pubblicato il primo studio che dimostrava il ruolo della definizione di stabilità clinica come criterio idoneo a sospendere in sicurezza la terapia di una CAP (3).
Negli anni successivi la CAP ha rappresentato il modello di riferimento principale della letteratura finalizzata a verificare la possibilità di accorciare la durata della terapia antibiotica. Dieci anni dopo la valorizzazione del concetto di stabilità clinica, un altro studio aggiunse un tassello fondamentale al percorso decisionale, rappresentata dalla determinazione di procalcitonina sierica (PCT).
Lo studio ProHOSP, randomizzando 1381 pazienti con polmonite o riattivazione di COPD a sospendere la terapia in base alla negativizzazione di PCT verso lo standard of care, dimostrò inequivocabilmente come fosse possibile ridurre significativamente i tempi di trattamento senza nessuna differenza di outcome (4).
Nel 2016 un gruppo spagnolo, grazie ad uno studio randomizzato coinvolgente 312 pazienti, provò che la sospensione della terapia in quinta giornata non si associava a peggiore outcome nei soggetti con stabilità clinica raggiunta (5), fino ad arrivare al 2021, quando è stata affermata la possibilità di una ulteriore riduzione della durata della terapia.
Un gruppo multicentrico francese, grazie ad uno studio randomizzato di non inferiorità su un campione di 706 pazienti con CAP, affermò la possibilità di interrompere la terapia antibiotica in terza giornata in soggetti ricoverati in area non critica, clinicamente stabilizzati (6).
E sempre in tema di polmoniti, la recente proposta di un trial clinico analogo a quelli testé esposti, ma da svolgersi nel setting delle polmoniti associate a ventilazione invasiva, apre per il futuro scenari di grande interesse (7).
Le bloodstream infections
Il secondo ambito in cui la durata della terapia è stata ampiamente studiata è rappresentato dalle bloodstream infections (BSI) termine la cui migliore traduzione in italiano è setticemie. Tre studi retrospettivi condotti nel 2018-19 ed uno studio quasi-sperimentale pre-post pubblicato nel 2021, tutti riferiti a BSI da Enterobacterales sono giunti alle stesse conclusioni: nei pazienti con risposta clinica e microbiologica, prolungare il tempo di trattamento oltre i sette giorni non aggiunge nulla in termini di percentuali di guarigione e di sopravvivenza, con forse la sola eccezione dei soggetti gravemente immunodepressi. Questi risultati sono stati prodromici a tre studi prospettici, sempre inerenti BSI non complicate da Enterobacterales che ne hanno sostanzialmente confermato le conclusioni. Il primo è uno studio multicentrico coinvolgente 556 pazienti randomizzati al momento della stabilizzazione clinica a ricevere 7 o 14 giorni di trattamento, senza alcuna evidenza di superiorità di un braccio verso l’altro (8). Il secondo, riferito a 504 soggetti, si è fondato su una randomizzazione a tre bracci, 14 e 7 giorni di trattamento, e sospensione guidata da PCT: la percentuale di successo clinico è risultata migliore, sia pure non significativamente, nel braccio PCT-driven, che peraltro si è concretizzato in un tempo mediano di trattamento di 7 giorni. In ogni caso il braccio che prevedeva 14 giorni di trattamento non ha mostrato alcun vantaggio (9).
I riscontri del terzo studio, multicentrico condotto in Spagna e riferito a 248 pazienti, non si sono discostati dai precedenti (10).
È dunque del tutto razionale nei pazienti che abbiano raggiunto stabilità clinica, con negativizzazione delle emocolture e senza evidenze di secondarismi, non perseguire acriticamente la classica terapia di 14 giorni.
Le infezioni intra-addominali
Merita poi menzione il capitolo, molto complesso e variegato, delle infezioni intra-addominali (IAI) dove, al di fuori della profilassi chirurgica, non vi è alcun consenso sui tempi di trattamento, come dimostrato in una recente survey condotta in US dalla Surgical Infection Society (11).
Eppure, nell’ultimo decennio è stata più volte ribadita la possibilità di minimizzare la durata della terapia post-chirurgica. Dopo le esperienze relative alla minimizzazione temporale del tempo di trattamento dell’appendicite acuta, nel 2015 la pubblicazione del primo studio randomizzato sul vasto capitolo delle IAI segnò un vero punto di svolta: 518 pazienti con infezione intra-addominale complicata ed adeguato source control furono randomizzati a ricevere antibiotici per 48 ore oltre la risoluzione della febbre e la ricanalizzazione, versus un gruppo di controllo nel quale la terapia poteva arrivare a 10 giorni dalla stabilizzazione. Un tempo mediano di terapia di 4 verso 8 giorni a favore del braccio di intervento, nessuna differenza in termini di outcome, ma 27% di violazioni del protocollo nel braccio short therapy, da un lato testimoniano la bontà dell’ipotesi di studio, peraltro ribadita successivamente da altre esperienze randomizzate, ma dall’altro confermano come la strada per superare atteggiamenti precostituiti ed abitudini inveterate sia ancora lunga (12).
È quindi sempre più difficile interrompere che iniziare una terapia antimicrobica, ma evitare l’empirismo prescrittivo e ridurre i tempi di trattamento sono ormai evidenti doveri di chi si assume la responsabilità di coordinare qualsiasi progetto di AS. Ed il fatto che oggi si ipotizzino riduzioni dei tempi di terapia in alcuni santuari del long-term treatment, come osteomieliti, infezioni protesiche, endocarditi infettive ed addirittura tubercolosi, riafferma come la medicina basata sulle tradizioni debba essere progressivamente sostituita da quella fondata sulle evidenze.
- Le Guern R, Stabler S, Gosset P, et al. Colonisation resistance against multidrug-resistant bacteria: a narrative review J Hosp Infection 2021;118:48-58
- Macheda G, Dyar OJ, Luc A, et al. Are infection specialists recommending short antibiotic treatment durations? An ESCMID international cross-sectional survey. J Antimicrob Chemother 2018; 73: 1084-1090.
- Halm EA, Fine MJ, Marrie TJ, et al. Time to clinical stability in patients hospitalized with community-acquired pneumonia: implications for practice guidelines. JAMA. 1998; 279:1452-7.
- Schuetz P, Christ-Crain M, Thomann R, et al. Effect of Procalcitonin-Based Guidelines vs Standard Guidelines on Antibiotic Use in Lower Respiratory Tract Infections. The ProHOSP Randomized Controlled Trial. JAMA 2009; 302:1059-1066.
- Uranga A, España PP, Bilbao A, et al. Duration of Antibiotic Treatment in Community-Acquired Pneumonia: A Multicenter Randomized Clinical Trial. JAMA Intern Med. 2016;176:1257-1265.
- Dinh A, Ropers J, Duran C, et al. Discontinuing β-lactam treatment after 3 days for patients with CAP in non-critical care wards: a double-blind, randomised, placebo controlled, non-inferiority trial. Lancet 2021; 397: 1195-203.
- Mo Y, West TE, MacLaren G, et al. Reducing antibiotic treatment duration for ventilator-associated pneumonia (REGARD-VAP): a trial protocol for a randomized clinical trial. BMJ Open 2021;11:e050105
- Yahav D, Franceschini E, Koppel F, et al. Seven Versus 14 Days of Antibiotic Therapy for Uncomplicated Gram-negative Bacteremia: A Non inferiority Randomized Controlled Trial. Clin Infect Dis 2019;69:1091-1098.
- Von Dach E, Albrich WC, Brunel AS, at al. Effect of CRP–Guided Antibiotic Treatment Duration, 7-Day or 14-Day Treatment on 30-Day Clinical Failure Rate in Patients With Uncomplicated Gram-Negative BSI. A Randomized Clinical Trial. JAMA 2020; 323:2160-69.
- Molina J, Montero-Mateos E, Praena-Segovia J, et a. Seven versus 14-days course of antibiotics for the treatment of bloodstream infections by Enterobacterales. A randomized, controlled trial. Clin Microbiol Infect 2021;S1198-743X(21)00491-2.
- Delaplain PT, Kaafarani HMA, Benedict LAO, et al. Different Surgeon, Different Duration: Lack of Consensus on the Appropriate Duration of Antimicrobial Prophylaxis and Therapy in Surgical Practice. Surg Infect, 2022 Feb 23.
- Sawyer RG, Claridge JA, Nathens AB, et al. Trial of Short-Course Antimicrobial Therapy for Intra-abdominal Infections. N Engl J Med 2015; 372:1996-2005.