Il numero di interventi di posizionamento di protesi vascolari aortiche è in aumento, in linea con l’invecchiamento della popolazione, l’avanzamento delle scienze dei materiali e delle tecniche chirurgiche (es. protesi endovascolari). Solo in Italia ogni anno vengono eseguiti 10.000 interventi chirurgici di posizionamento di protesi vascolari per aneurismi dell’aorta addominale (1). Tale numero sottostima la reale dimensione epidemiologica degli impianti protesici vascolari.
Come per ogni tipo di device medico, la problematica infettiva ha un peso rilevante. Le infezioni di protesi vascolari (IPV) vengono suddivise in intra- o extra-cavitarie, rispettivamente se interessano vasi in torace/addome oppure vasi nelle estremità corporee. Ci concentreremo brevemente sulle intracavitarie.
Le IPV intracavitarie si verificano nello 0.5-4% degli impianti (2) con conseguenze significative in termini di morbidità e mortalità. La rimozione della protesi infetta accompagnata da un opportuno debridement dei tessuti circostanti costituisce l’optimum terapeutico, tuttavia l’espianto è gravato da una mortalità del 18-30% (2). D’altra parte, se la protesi infetta viene lasciata in sede, la mortalità a 2 anni supera il 75%, nonostante la terapia antibiotica (3).
Il biofilm gioca un ruolo importantissimo nel determinare la difficoltà di eradicazione di queste infezioni. È noto infatti che il biofilm ostacola il sistema immunitario dell'ospite e che concentrazioni antibiotiche da 500 a 10.000 volte più elevate di quelle necessarie per uccidere le forme planctoniche sono necessarie nei confronti dei batteri indovati nel biofilm (3).
Dal punto di vista microbiologico le infezioni di protesi di aorta toracica vedono come principali agenti eziologici Staphylococcus aureus e gli stafilococchi coagulasi negativi (4) (batteri muniti di diverse adesine), mentre se l’infezione interessa la protesi aortica addominale, oltre a questi, dobbiamo considerare anche la possibilità di Enterobacteriaceae e Candida spp. specialmente se presente una fistola aortoenterica (3).
Per quanto riguarda la diagnosi delle IPV intracavitarie, è necessario un elevato sospetto clinico in quanto segni e sintomi possono non essere facili da individuare. La clinica delle infezioni delle protesi di aorta toracica può ricalcare quella delle endocarditi batteriche. Tra i criteri clinici maggiori per infezione vi sono: 1) pus periprotesico visibile alla chirurgia; 2) ferita aperta con protesi esposta o tramite fistoloso; 3) sviluppo di fistola (es. aortoenterica o aortobronchiale); 4) inserzione del graft su un sito infetto. È sempre importante tener conto delle caratteristiche dell’ospite (diabete, età avanzata, terapia immunosoppressiva, storia di patologie intestinali, infezioni urinarie recidivanti) per una stima del rischio infettivo pre e post impianto. Nelle 48 h dopo il posizionamento protesico, il 70% dei pazienti manifesta iperpiressia e sono comuni un rialzo dei globuli bianchi e della proteina C-reattiva, in assenza di infezione (5). Le principali complicanze delle IPV sono: sepsi/shock settico, ischemie periferiche, deiscenze anastomotiche con conseguente rottura o formazione di pseudoaneurismi, embolizzazioni, reinfezioni, fistolizzazioni con organi vicini, formazione di ascessi, estensione dell’infezione per contiguità (3).
Il ruolo della diagnostica per immagini è fondamentale. L’ecografia è di solito il primo esame che può permettere di rilevare pseudoaneurismi, gas, trombosi del graft. Tuttavia per le IPV intracavitarie quasi sempre si esegue un esame di secondo livello quale l’angio-TC (sensibilità 0.67, specificità 0.63) (6). La angio-RM potrebbe avere performance anche migliori della TC (sensibilità 0.68, specificità 0.97) (7) ma ha lunghi tempi di acquisizione e risente di più di artefatti da movimento. PET e scintigrafia con leucociti marcati vengono eseguite solitamente come esami “funzionali” (utili anche come baseline) o se vi sono dubbi diagnostici e hanno una sensibilità di 0.95 e 0.90, rispettivamente e una specificità di 0.99 e 0.82 rispettivamente, quando combinate con TC o SPECT/TC (8). Criteri radiologici maggiori per infezione sono: 1) raccolta periprotesica ≥ 3 mesi dal posizionamento; 2) presenza di gas periprotesico ≥ 7 settimane dal posizionamento di protesi; 3) aumento del volume del gas periprotesico documentato con imaging seriato (2).
La diagnostica microbiologica si basa sulle emocolture standard, su pannelli PCR-multiplex e PCR 16S/next generation sequencing su sangue (3) o, quando possibile (se presente raccolta periprotesica) da aspirato eco o TC-guidato (8).
La gestione terapeutica delle IPV è multidisciplinare con coinvolgimento per lo meno di infettivologo, chirurgo vascolare e radiologo. L’infettivologo deve avere chiaro il programma chirurgico e le relative tempistiche. L’approccio tradizionale consta in un aggressivo debridement con sostituzione in situ della protesi infetta. Tuttavia, stante l’età avanzata della popolazione con protesi aortiche, non tutti sono candidabili alla chirurgia. La terapia antibiotica è consigliata come bridge per l’intervento e poi per 4-6 settimane dopo l’espianto (opinione di esperti) (4). A questa fase solitamente endovenosa fa poi seguito una terapia antibiotica orale indefinita (Figura 1).
È ragionevole in assenza di studi clinici randomizzati utilizzare antibiotici endovenosi con buona penetrazione nel biofilm come daptomicina, rifampicina e fosfomicina. Tra gli antibiotici orali minociclina rappresenta una buona opzione antistafilococcica (spesso anche anti-MRSA) per la sua attività antimicrobica, la sua penetrazione nel biofilm, la relativa scarsità di effetti collaterali (rispetto a cotrimossazolo, linezolid) e la buona tollerabilità. A tale farmaco è anche possibile associare rifampicina, con cui peraltro risulta sinergico (9). Da esperienze sperimentali su protesi infette da stafilococchi il regime fosfomicina + rifampicina ha dato ottimi risultati, tuttavia entrambi i farmaci sono deboli in termini di emergenza di resistenze e necessitano di un farmaco partner più solido (10).
Una strategia di buon senso può essere: terapia antibiotica endovenosa per 4-6 settimane, seguita da 3-6 mesi di terapia antibiotica orale e poi scegliere se tentare una sospensione con stretta osservazione clinica/bioumorale o optare per una terapia soppressiva cronica (Figura 1). L’età e le condizioni generali del paziente (es. grande anziano ->lifelong) nonché il tipo di microrganismo vanno tenuti in conto per prendere una decisione in tal senso (es. grande anziano/immunodepresso o Candida/MRSA/Pseudomonas ->lifelong).
Da un punto di vista delle molecole antibiotiche, in assenza di linee guida e alla luce di recenti dati di letteratura e del paziente tipo (età avanzata, rischio di insufficienza renale) proponiamo i seguenti schemi (Figura 2) (dosaggi per filtrato glomerulare normale):
- Per i Gram positivi: daptomicina 12 mg/kg q24h + rifampicina 450 mg q12h e/o fosfomicina 16-24 g in infusione continua (IC) (11).
- Per i Gram negativi: piperacillina/tazobactam 9 g ev dose da carico seguiti da 18 g ev in IC + fosfomicina 24 g in IC.
Da notare che daptomicina viene somministrata ogni 24h mentre rifampicina, fosfomicina e piperacillina/tazobactam possono essere somministrati mediante pompe elastomeriche rendendo possibile il trattamento dei pazienti in regime OPAT. Far attenzione che rifampicina va diluita in glucosata se data in pompa elastomerica e fosfomicina in acqua sterile (e la soluzione di quest'ultima va schermata dalla luce). Fosfomicina ha il duplice ruolo di penetrare nel biofilm e interagire con effetto sinergico con l’antibiotico partner.
Successivamente gli shift per os proposti potrebbero essere i seguenti (Figura 2):
- Per i Gram positivi: minociclina 100 mg q12h + rifampicina 600 mg q24h
- Per i Gram negativi: cefixime 400 mg q24h (non Pseudomonas) o ciprofloxacina 500 mg q12h.
È da tener presente che né cefixime né ciprofloxacina sono attivi su anaerobi Gram negativi.
Dopo 3-6 mesi un tentativo di sospensione può essere fatto specialmente se siamo di fronte a germi meno aggressivi come streptococchi, CoNS, enterococchi, Cutibacterium acnes, in assenza di resistenze antibiotiche e se il paziente ha una discreta aspettativa di vita. Prima della sospensione è ragionevole ripetere un’imaging funzionale (es. scintigrafia con leucociti marcati) per verificare l’effettiva mancata captazione (Figura 1).
Per la terapia soppressiva cronica in infezioni da Gram positivi è anche da tener presente l’utilizzo di long-acting come dalbavancina e/o oritavancina (pur in off label) per migliorare la qualità di vita del paziente (12).
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