Gli ultimi anni hanno visto un cambiamento radicale delle opportunità di cura e delle prospettive di vita delle persone con HIV (PWH). I dati scientifici ci hanno dimostrato la validità del concetto U=U, la PrEP ha cambiato, e cambierà presto ulteriormente, le strategie di prevenzione, i nuovi trattamenti si sono dimostrati efficaci e dotati di ridotta tossicità anche nella terapia a lungo termine. Parallelamente, sulla scorta di questi successi e forzati anche dalla necessità, legata alla pandemia da SARS-CoV-2, di dover trovare soluzioni organizzative alternative, abbiamo anche assistito a un’evoluzione delle esigenze e delle prospettive gestionali che ritengo debbano richiedere una riflessione per sviluppare nuove strategie future rispondendo concretamente alle esigenze attuali e moderne delle PWH. Questa necessità di cambiamento si inquadra in un panorama oggi assai complesso: da un lato, la necessità di continuare a mantenere elevata l’asticella della qualità assistenziale che in Italia ha dato risultati straordinari: secondo i dati ICONA la cascade italiana è forse tra le migliori al mondo; dall’altro, la forte pressione da parte delle PWH che chiedono una gestione più semplice, meno frequente, meno medicalizzante, più compatibile con gli impegni lavorativi e familiari.
Queste argomentazioni giungono in un momento storico molto complicato per la riorganizzazione generale dei diversi sistemi sanitari regionali. COVID-19 ha chiaramente evidenziato alcune lacune e incertezze organizzative del nostro SSN, in particolare per quanto riguarda la Medicina territoriale e il rapporto tra Ospedale e Territorio. Questo ha indotto una profonda riflessione da parte delle istituzioni con l’elaborazione di diversi tentativi di miglioramento; il più importante sicuramente quello dell’istituzione delle Case di Comunità che dovrebbero diventare nel futuro il vero contenitore di interazione e condivisione tra Ospedale e Territorio. Strutture che dovrebbero prevedere una spontanea integrazione tra i diversi specialisti con la partecipazione degli specialisti ospedalieri ai diversi percorsi di cura trasferiti dall’ospedale alle strutture territoriali. L’obbiettivo della riforma vorrebbe quindi concretizzarsi nel passaggio da una organizzazione che negli ultimi anni è stata sempre più ospedalo-centrica ad una organizzazione che tenga sempre più in considerazione la realtà della Medicina territoriale rendendola più efficiente, più vicina ai cittadini, ma soprattutto più capace di rispondere in tempi rapidi ai bisogni in maniera altamente qualificata, sfruttando l’integrazione e il supporto dei diversi specialisti ospedalieri. Il progetto stenta attualmente a trovare una sua organizzazione coerente ed efficace, ma nei prossimi anni è prevedibile che il modello possa sempre più prendere piede ed essere presente. Nel contesto della gestione dell’infezione da HIV, la domanda è se questa nuova organizzazione del SSN impatterà, ed eventualmente come impatterà, sulla gestione clinica e organizzativa degli ambulatori di Malattie Infettive che seguono le PWH.
A mio parere, va in primis chiaramente separato l’aspetto organizzativo da quello clinico assistenziale. Ossia, da una parte la possibilità di eseguire prelievi fuori dall’ospedale e potere avere accesso ai farmaci senza doversi recare nelle farmacie ospedaliere, dall’altra la gestione clinica delle PWH che si concretizza fondamentalmente nel momento della visita e del confronto con lo specialista infettivologo. Nel primo caso, penso che i tempi siano maturi per un radicale cambiamento della situazione attuale. L’esperienza COVID-19 ci ha insegnato che è possibile, e soprattutto apprezzato dalle PWH, poter elaborare strategie alternative di approvvigionamento farmaci e di esecuzione degli esami ematici che possano maggiormente andare incontro alle loro diverse esigenze. Numerose sono state le esperienze in cui si è riusciti a inviare farmaci al domicilio, oppure attivare la distribuzione attraverso le farmacie o, ancora, dare l’opportunità di andare a ritirare farmaci presso le Case di Comunità più prossime.
Oggi ritengo anacronistico che le PWH debbano recarsi negli ospedali per il solo ritiro del trattamento antiretrovirale. Abbiamo oggi la possibilità di poter utilizzare strategie, anche con l’aiuto di strumenti digitali, più comode, più efficienti, meno medicalizzanti e soprattutto maggiormente in sintonia con quelle che sono le aspettative delle persone che si affidano alle nostre cure. In questo contesto, una buona occasione per disegnare e testare eventuali nuovi approcci organizzativi è sicuramente oggi rappresentata dalla gestione dei nuovi trattamenti Long-Acting. La loro diffusione, che per certi versi rappresenterà sempre più una realtà terapeutica in grande espansione, pone l’accento sulle problematiche logistico-organizzative che potrebbero trovare nella somministrazione sul territorio una risposta efficace sia per le PWH che per le strutture ospedaliere, le quali faticano in questo momento ad adattarsi e a far fronte alla sempre maggiore richiesta di somministrazione di farmaci iniettivi.
Altro discorso, e ben più complesso, è invece quello di decentrare sul territorio anche la gestione clinica dell’infezione da HIV. In questo caso penso sia necessaria maggior cautela e un approccio organizzativo che deve dare garanzie di successo. Quello che è stato ottenuto in questi anni dagli infettivologi ospedalieri è un patrimonio immenso di qualità che non deve essere assolutamente perduto. Sebbene sia oggi una realtà condivisa il fatto che, rispetto al passato, la gestione dell’infezione da HIV sia obbiettivamente più semplice, non bisogna perdere il patrimonio qualitativo che ha permesso di ottenere questi risultati. Le PWH assumono trattamenti estremamente semplificati, senza sviluppare particolari eventi avversi, generalmente i soggetti sono in buona salute, ottime condizioni generali, conducono una vita normale, senza sviluppo di particolari problemi clinici. Tuttavia, il percorso clinico non deve essere banalizzato. In questi anni abbiamo creato ambulatori specialistici e multidisciplinari per l’ottimizzazione della gestione dei problemi metabolici, cardiologici, neurologici, psichiatrici. Abbiamo creato ambulatori per l’ottimizzazione della somministrazione dei farmaci attraverso l’utilizzo della farmacocinetica. Abbiamo visto che, laddove sia presente una gestione congiunta infettivologo/oncologo, la gestione delle PWH affette da patologie neoplastiche ne abbia sensibilmente giovato non solo in termini di ottimizzazione della terapia, ma anche di outcome clinico. Il problema dell’invecchiamento e la gestione delle polipatologie rappresenteranno la realtà del domani e necessitano di strumenti di monitoraggio sofisticati e di capacità gestionali multidisciplinari per ottimizzare la gestione e ottenere risultati significativi.
Tutto questo richiede multidisciplinarità, lavoro congiunto e confronto tra i diversi specialisti, organizzazione e ottimizzazione dei percorsi e delle risorse per una corretta gestione di problematicità complesse. Per garantire la qualità nella complessità, il ruolo dell’ospedale è ancora importante e necessario, a patto che l’ospedale sia in grado di fornire efficientemente questi servizi e gestire la complessità, la multidisciplinarità e di rispondere concretamente alle diverse necessità e ai bisogni che vadano al di là della normale visita routinaria.
In questo contesto - da preservare e non banalizzare - penso che il trasferimento della gestione clinica delle PWH sul territorio sia un passo da valutare molto attentamente. Oggi non ritengo che le strutture territoriali o i medici di Medicina generale possano sostituirsi garantendo la stessa qualità che in questi anni è stata fornita dagli infettivologi all’interno degli ambulatori ospedalieri di Malattie Infettive.
Questo atteggiamento non preclude all’elaborazione di percorsi sperimentali che permettano di sviluppare nuovi modelli assistenziali più snelli e più rispondenti ai bisogni delle PWH anche al fine di capire meglio le possibili dinamiche Ospedale/Territorio e di ottimizzare le strategie gestionali di cura. Un esempio più volte proposto è quello di affidare agli ambulatori sul territorio o nelle Case di Comunità la gestione più semplice e routinaria dell’infezione da HIV, mantenendo all’interno dell’ospedale la cura delle problematiche più complesse. Questa proposta prevede però un cambio radicale del ruolo e delle modalità di lavoro degli specialisti in quanto presupporrebbe come elemento chiave la possibilità di affidare ai medici infettivologi oggi operanti unicamente in ospedale, ambulatori infettivologici sul territorio. Non è chiaro come questo possa concretizzarsi, perdipiù oggi, con la cronica mancanza di risorse e con la difficoltà a reperire specialisti infettivologi; sicuramente rappresenta un modello di cura molto diverso da quello attuale, i cui vantaggi devono essere a mio avviso ben calcolati per non correre il rischio di inficiare quanto di qualitativamente valido è stato fatto finora e per non disperdere energie e risorse molto difficili da reperire.
Il dibattito è aperto, partiamo da una situazione che vede le PWH ben inserite nei percorsi di cura ospedalieri che hanno dimostrato di dare risposte chiare ed efficienti. Il passaggio a una strategia territoriale o meglio una strategia mista ospedale/territorio potrebbe sicuramente avere indubbi vantaggi sugli aspetti logistici, come l’approvvigionamento dei farmaci e l’esecuzione dei prelievi. Più difficile, prevedere un radicale cambiamento dell’organizzazione assistenziale con uno spostamento completo della gestione dell’infezione da HIV sul territorio sebbene diverse esperienze sperimentali potranno nel prossimo futuro darci importanti spunti di discussione.