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La decisione di ricorrere alla terapia antibiotica deve tener...

N.3 2024
Clinica infezioni batteriche e fungine
La terapia antibiotica nelle fasi terminali della vita

Massimo Fantoni
UOC Emergenze Infettive, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Roma

La decisione di ricorrere alla terapia antibiotica deve tener conto di numerosi fattori che vanno dalla valutazione della probabilità di infezione batterica, al contesto di cura, dai desideri del paziente alla necessità di contrastare il fenomeno della farmaco-resistenza

 

I pazienti affetti da malattie a prognosi infausta spesso sperimentano alti livelli di esposizione agli antibiotici alla fine della vita, anche in contesti di cure palliative o hospice. Come in qualsiasi altro contesto, usando gli antibiotici in maniera appropriata possiamo migliorare la salute dei pazienti anche nelle fasi terminali della vita. Allo stesso tempo, possiamo aiutare a ritardare la comparsa della resistenza agli antibiotici, mantenere l’efficacia degli antibiotici attuali e assicurare che restino efficaci, sia per la comunità che per ogni singolo individuo. Giova qui ricordare che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito la resistenza agli antibiotici una delle principali sfide per la salute globale. In Italia, gli antibiotici sono tra i farmaci più utilizzati, con un consumo pro capite preoccupante, rendendo il nostro Paese uno dei più colpiti dal problema dell’antibiotico-resistenza.

 

Un processo decisionale condiviso

Riconoscere la fase imminente della morte, un periodo che oscilla tra i quindici e gli ultimi tre giorni di vita, rappresenta un passaggio cruciale nell’assistenza a chi si trova in questa delicata fase. Secondo uno dei principi classici della cure palliative, tale consapevolezza permette anzitutto di promuovere un processo decisionale condiviso: in questo periodo è fondamentale coinvolgere il paziente, i suoi familiari e l’équipe medica in un dialogo aperto e sincero per definire insieme le cure e il supporto più appropriati, basandosi sui desideri e sulle priorità del paziente.

Quando la morte è imminente, l’obiettivo primario non è più la guarigione, ma il garantire la migliore qualità di vita possibile e un buon processo del morire. Ciò significa che trattamenti aggressivi o invasivi diagnostici o terapeutici, che potrebbero causare ulteriore sofferenza senza un reale beneficio, potrebbero essere sospesi o non iniziati. Riconoscere la morte imminente non significa ovviamente rinunciare alle cure, ma piuttosto adattarle ai bisogni e ai desideri del paziente. Si tratta di un atto di rispetto che permette di accompagnare il paziente verso una morte serena e dignitosa, circondato dai suoi familiari, laddove possibile, e supportato da un’équipe professionale attenta e sensibile.

In questo contesto valoriale, la valutazione dei benefici e dei danni degli antibiotici per i malati terminali può essere particolarmente complessa, con molti fattori che influenzano le decisioni finali. Infatti, le decisioni relative agli antibiotici in un contesto di fine vita possono essere guidate da emozioni piuttosto che dal ragionamento clinico e dalle implicazioni etiche della prescrizione. In generale, le implicazioni etiche dell’uso degli antibiotici nei pazienti terminali richiedono la considerazione dell’equilibrio tra benefici e danni potenziali, il rispetto dell’autonomia del paziente e l’allineamento con gli obiettivi delle cure di fine vita. Ad esempio, il principio di proporzionalità richiede che i benefici del trattamento antibiotico siano superiori ai rischi, tenendo conto delle condizioni generali del paziente, della prognosi e degli obiettivi di cura. Ma prima ancora di ragionare sul principio di proporzionalità, è giusto applicare anche nel fine vita lo stesso percorso logico che si dovrebbe usare per qualunque prescrizione di antibiotici: dato questo quadro clinico, che probabilità ha il paziente di avere un’infezione? Se ha un’infezione, si tratta di un’infezione batterica? Se ha una sospetta infezione batterica, qual è il patogeno più probabile? Un esempio piuttosto comune in cui la terapia antibiotica viene prescritta saltando il percorso logico della buona prescrizione è quello della febbre.

La febbre rappresenta un meccanismo di difesa messo in atto dall’organismo in risposta a diversi stimoli, sia esterni che interni. Le sue cause sono molteplici e non sempre riconducibili a infezioni batteriche, come spesso erroneamente si tende a pensare. Alla base dell’innalzamento della temperatura corporea troviamo le citochine pirogene, molecole prodotte in risposta a infezioni, infiammazioni non infettive (come nelle malattie autoimmuni), traumi, danni tissutali e tumori. Anche alcuni farmaci possono, seppur raramente, indurre febbre. Sebbene le infezioni batteriche rappresentino una causa comune di febbre, è importante ricordare sempre che non si tratta dell’unica possibilità. Un errore frequente nella pratica clinica consiste nell’attribuire automaticamente la febbre a un’infezione batterica, determinando scelte terapeutiche inappropriate.

 

La difficoltà di un approccio standard

In un contesto di cure palliative, la febbre assume un significato ancora più complesso e ambiguo, perdendo ulteriormente la sua specificità come indicatore di infezione batterica. La scarsità di studi specifici sulla valutazione della febbre e sul trattamento con antibiotici empirici in pazienti terminali rende difficile definire un approccio standardizzato. Uno studio condotto in hospice ha evidenziato che oltre l’80% degli episodi febbrili veniva trattato con antibiotici empirici, risultando inappropriato nel 45% dei casi.

Questi dati sottolineano la necessità di un’attenta valutazione della febbre in pazienti terminali, considerando le diverse cause possibili ed evitando l’uso indiscriminato di antibiotici.

Un fattore che può fortemente condizionare la scelta prescrittiva degli antibiotici è il setting di cura, come indicato da una survey effettuata tra oltre 800 specialisti italiani (palliativisti, internisti, medici di medicina generale, infettivologi). È comprensibile che negli ospedali per acuti, la maggiore disponibilità di test diagnostici spinga ad un approfondimento maggiore prima di prescrivere un antibiotico; per contro, la maggiore disponibilità di risorse assistenziali può spingere a sovra-trattare sospette o accertate infezioni batteriche anche quando il beneficio del trattamento è del tutto discutibile. Un esempio in tal senso è l’approccio a un paziente terminale con polmonite.

I dati di letteratura ci indicano che nelle fasi terminali della vita, la comparsa di polmonite è un’evenienza frequente e si può dire che un’infezione polmonare è la causa determinante finale di morte nella maggioranza dei pazienti: i dati autoptici confermano che oltre la metà dei pazienti trattati in un contesto di cure palliative presenta un quadro di polmonite terminale. Dunque è importante riconoscere e condividere che la polmonite può far parte del naturale processo del morire e il tentativo di trattarla va personalizzato per evitare una terapia futile.

 

Il concetto di futilità

Il concetto di futilità (medical futility) è tuttavia di formulazione complessa. In sintesi, si tratta di affrontare i processi decisionali sui trattamenti che non dovrebbero essere prescritti o che dovrebbero essere sospesi perché non soddisfano né gli esiti clinici né quelli correlati ai desideri del paziente. In questa prospettiva è necessario ribadire quindi che, anche qualora il curante ritenga futile un trattamento, è suo dovere condividere la decisione con il paziente, per definire obiettivi realmente condivisi e personalizzati. Si potrebbe obiettare che tale approccio vale per qualunque prescrizione medica, indipendentemente dalla fase della malattia. È pur vero però che nel fine vita ogni atto assistenziale acquista un’importanza decisiva.

Fig1Nelle fasi terminali la decisione di prescrivere o di non sospendere una terapia antibiotica può essere guidata non tanto dall’obiettivo di guarire una determinata malattia batterica, ma da quello di controllare i sintomi da essa causati. Anche se i dati di letteratura non forniscono risposte univoche, le infezioni urinarie e le infezioni respiratorie sembrano quelle i cui sintomi possono essere maggiormente controllati dalla terapia antibiotica. In alcuni casi anche le infezioni addominali (ad esempio colecistite acuta) o dei tessuti molli (ad esempio flebite da infezione dell’accesso vascolare periferico) si possono giovare in modo rapido ed efficace della terapia antibiotica. Nella decisione prescrittiva, occorre anche tenere presente il rischio di effetti collaterali degli antibiotici, tra cui la colite da Clostridioides difficile (Figura 1).

In conclusione, pur essendo molto forte nel fine vita la tentazione della sovra-prescrizione di terapia antibiotica, la decisione dovrà tenere conto di numerosi fattori, quali: la probabilità di trovarsi davvero di fronte a un’infezione batterica; la possibilità che i sintomi (tipicamente la febbre) abbiano un’altra causa; la possibilità di controllare i sintomi anche senza possibilità di guarigione; il contesto di cura e le possibilità sulle vie di somministrazione degli antibiotici; il contesto valoriale e i desideri del paziente; la consapevolezza dell’allarme epidemiologico dell’antibiotico-resistenza.

È difficile immaginare che tale complessità possa essere gestita senza un coinvolgimento multiprofessionale e con una continua comunicazione tra équipe curante, paziente e caregiver. È anche necessario che si estendano sempre più le conoscenze attraverso studi mirati sull’utilizzo degli antibiotici nel fine vita in un’epoca di allarme globale sulla diffusione di germi multiresistenti.

 

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  2. Chen LK, Chou YC, Hsu PS, et al. Antibiotic prescription for fever episodes in hospice patients. Support Care Cancer.2002;10:538-54.
  3. Crispim DH, da Silva IO, de Carvalho RT, Levin AS. End-of-life use of antibiotics: a survey on how doctors decide. Int J Infect Dis. 2002;114:219-225.
  4. Karlin D, Pham C, Furukawa D, et al. State-of-the-Art Review: Use of Antimicrobials at the End of Life. Clin Infect Dis 2024;78(3):e27-e36.
  5. Kim JH, Yoo SH, Keam B, heo DS. The impact of palliative care consultation on reducing antibiotic overuse in hospitalized patients with terminal cancer at the end of life: a propensity score-weighting study.J Antimicrob Chemother. 2023;78:302-308.
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  8. Smith AGC, Yarrington ME, Baker AW, et al. Beyond Infection: Mortality and End-of-Life Care Associated with Infectious Disease Consultation in an Academic Health System .Clin Infect Dis. 2024 Jun 13:ciae325.

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