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La strada per il successo terapeutico nel paziente...

Malgrado il successo della ART, il trattamento dei pazienti con...

N.2 2022
Terapia
La strada per il successo terapeutico nel paziente difficult-to-treat

Giuseppe Lapadula
Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Milano
 

Malgrado il successo della ART, il trattamento dei pazienti con HIV multiresistente resta oggi una delle s-fide più impegnative. Nel caso clinico qui descritto, ibalizumab si è dimostrato fondamentale grazie a caratteristiche di efficacia e sicurezza e alla garanzia di una piena aderenza

 

La complessità del paziente

Il paziente con infezione da HIV “difficile da trattare” quasi sempre ha alle spalle una lunga storia terapeutica, complessa, costellata di effetti collaterali (tossici o idiosincrasici), reazioni allergiche o intolleranze che limitano fortemente le possibilità terapeutiche (LTO, Low Therapeutic Options). È molto frequente, inoltre, che il paziente abbia un atteggiamento di scarsa aderenza alla terapia, problema acuito dal progressivo aumento della complessità e del “carico di compresse” necessarie nei “regimi di salvataggio”. Ad un quadro già di per sé complesso, si aggiunge la frequente presenza di problematiche socio-assistenziali e psicologiche, a loro volta associate ad un maggior rischio di scarsa aderenza e sviluppo di resistenze (1). Infine, la lunga storia di malattia si accompagna spesso alla presenza di comorbilità, di terapie concomitanti con il potenziale di complesse interazioni farmacologiche e di uno stato immunologico deteriorato e una storia di eventi AIDS-defining, che rendono improcrastinabile la necessità di arrestare la replicazione virale. Purtroppo, talvolta ciò che il medico curante vede come una priorità (la soppressione della replicazione virale), non lo è per il paziente, che ha altri obiettivi e necessità.

 

Le difficoltà dei curanti

Dopo anni di stallo, in cui l’introduzione di farmaci con nuovi meccanismi di azione o capaci di agire sui virus farmaco-resistenti, appariva rallentata rispetto al passato, l’attuale pipeline della terapia antiretrovirale offre novità incoraggianti. Il numero limitato di pazienti con virus multiresistenti e la parcellizzazione della loro presenza sul territorio nazionale rende l’accesso ai farmaci fortemente penalizzato rispetto ad un recente passato. La progressiva perdita di expertise nel trattamento dei virus “difficili” nei centri clinici, la necessità di un approccio multidisciplinare e l’assenza di un programma nazionale uniforme di accesso precoce ai farmaci antiretrovirali innovativi (nell’ambito o meno di protocolli di ricerca) sono infatti limiti che i clinici sono costretti a fronteggiare su base individuale. L’efficacia a breve e lungo termine dei farmaci di nuova introduzione rischia di essere sminuita se la loro disponibilità viene limitata per motivi economici o amministrativi e, soprattutto, se vengono utilizzati in successione tra loro, e non adeguatamente affiancati da almeno uno o (meglio) due farmaci con attività antivirale conservata, inclusi farmaci non ancora in commercio.

 

Un caso clinico emblematico

La nostra paziente è una donna sessantenne, sieropositiva ed in terapia antiretrovirale da circa 20 anni, con un percorso clinico caratterizzato da scarsa aderenza, intolleranza ai farmaci e ripetuti fallimenti virologici con sviluppo di resistenze a tutte le classi farmacologiche impiegate, inclusi gli inibitori dell’integrasi e l’inibitore dell’attachment fostemsavir.

Nel corso dei molti e complessi regimi di “salvataggio” succedutisi negli anni, la paziente si è anche mostrata allergica a darunavir (diagnosi confermata da rechallenge con ricorrenza di esteso rash cutaneo). Negli anni, la viremia della paziente è rimasta quasi costantemente rilevabile ed i test di resistenza hanno mostrato un progressivo accumulo di mutazioni.

 

 

La Tabella 1 mostra l’evoluzione del pattern mutazionale del virus in risposta ai diversi regimi prescritti. La conta dei CD4+ si era progressivamente ridotta, fino a raggiungere, a fine 2019, valori <200 cellule/mmc (Figura 1). La paziente si presentava alla visita con una conta di CD4+ di 156 cellule/mmc e una viremia di 135.000 copie/mL, in corso di trattamento con tenofovir/emtricitabina, lopinavir/ritonavir, etravirina e dolutegravir. Il test di resistenza mostrava estese resistenze su trascrittasi inversa (41L, 138A, 184V, 210W, 215Y, 190Q), proteasi (10I, 71T, 84V, 89V, 90M) ed integrasi (140S e 148H). Al colloquio, la paziente ammetteva di avere una aderenza al trattamento altalenante, attribuendola agli effetti avversi e all’elevato pill burden, poichè considerava la propria qualità della vita altrettanto importante dei parametri viro-immunologici.

 

 

Tuttavia, emergeva la forte motivazione della paziente a sottoporsi ad un intervento di chirurgia bariatrica. A partire da questo obiettivo comune, veniva quindi concordato un nuovo accordo terapeutico, finalizzato alla riduzione del carico farmacologico orale e all’ottenimento di una condizione viro-immunologica che potesse permettere l’intervento.

 

La scelta di IBA

Dell’intero armamentario farmacologico antiretrovirale, l’unico farmaco accessibile con prevedibile piena efficacia sul virus della paziente era ibalizumab (IBA), il primo anticorpo monoclonale anti-CD4+ con dimostrata attività antivirale sui virus HIV MDR, inclusi i ceppi resistenti ad altri inibitori dell’entry virale come fostemsavir (2-4). Il farmaco veniva acquistato grazie al fondo destinato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) all’acquisto di farmaci non ancora commercializzati, che rappresentino una speranza di cura per specifici pazienti affetti da particolari e gravi patologie (Fondo 5%) (5). Per preservare l’efficacia di IBA nel lungo termine risultava però fondamentale individuare una combinazione di farmaci di accompagnamento almeno parzialmente attivi. Data l’impossibilità di co-somministrazione con altri farmaci sperimentali per i criteri stringenti di arruolamento negli studi, l’unica possibilità risultava il riutilizzo di farmaci già impiegati ma con possibile attività residua, incluso darunavir, (a cui la paziente era allergica). Dopo un efficace protocollo di desensibilizzazione rapida a darunavir (6), la paziente iniziava una terapia con IBA, somministrato ogni 15 giorni per via endovenosa, in associazione a darunavir/ritonavir 600/100 mg per 2 volte al giorno, lamivudina e maraviroc, quest’ultimo sulla scorta dell’apparente reversione del virus a tropismo R5.

Quanto a carico complessivo di terapia orale, la nuova terapia ha rappresentato per la paziente una notevole semplificazione e ha favorito un monitoraggio periodico della compliance: questo schema di terapia di combinazione ha permesso di ridurre la carica virale a livelli non rilevabili, un risultato mai ottenuto dalla paziente nei precedenti 10 anni (Figura 1). Nonostante i disagi connessi alla necessità di presentarsi periodicamente in ospedale, la notevole motivazione della paziente e la soddisfazione legata alla riduzione degli effetti avversi gastrointestinali dopo il cambio della terapia, hanno garantito la piena aderenza al programma terapeutico concordato. L’ultimo controllo viro-immunologico mostra una viremia plasmatica non rilevabile ed una conta di CD4+ di 444 cellule/mmc. La paziente si è potuta sottoporre, con successo, al trattamento desiderato.

 

Conclusioni

I virus HIV con opzioni terapeutiche estremamente ridotte, per quanto poco frequenti, rappresentano una sfida ancora molto complicata. La disponibilità di farmaci con nuovi e innovativi meccanismi d’azione, come ibalizumab e, in futuro, inibitori del capside e dell’attachment, apre nuovi scenari terapeutici che, però, è necessario sfruttare con giudizio. A partire dall’expertise sulle farmacoresistenze e sulla terapia antiretrovirale in generale, è auspicabile formare figure e strutture di riferimento, locale e sovralocale, con competenze multidisciplinari, cliniche, di ricerca e regolatorie, per poter garantire ai pazienti con bisogni terapeutici “speciali” l’accesso precoce a regimi terapeutici efficaci, includendo farmaci antiretrovirali innovativi, anche prima della loro commercializzazione.

In questo contesto, IBA si è dimostrato, nel caso clinico descritto, un farmaco fondamentale. Il vantaggio dell’utilizzo di questo anticorpo monoclonale nel trattamento dei virus HIV multiresistenti si basa su diversi aspetti. L’assenza di effetti avversi farmaco-correlati è utile a migliorare la tollerabilità dei regimi di salvataggio. La necessità di somministrazione per via parenterale, benchè ponga alcune difficoltà dal punto di vista organizzativo, può essere sfruttata sia per ridurre il carico farmacologico orale (che spesso i pazienti preferiscono), sia per concordare con i pazienti un follow-up “stretto” e personalizzato, stabilire un contatto periodico e fornire continui aiuti per favorire l’aderenza.

Il profilo di dimostrata efficacia virologica e la capacità di garantire un recupero di CD4+ sono caratteristiche di IBA e lo rendono indicato anche nei pazienti con elevate viremie e basse conte linfocitarie (come spesso sono i pazienti con infezioni da virus multiresistenti). Infine l’effetto sinergico e l’assenza di resistenza crociata con gli altri farmaci, inclusi gli inibitori dell’entry e dell’attachment, rende utilizzabile IBA anche in presenza di prolungate esposizioni farmacologiche e complessi pattern mutazionali.

 

  1. Benson C, et al. Antiretroviral Adherence, Drug Resistance, and the Impact of Social Determinants of Health in HIV-1 Patients in the US. AIDS and Behavior 2020; 24:3562-3573.
  2. Emu B, et al. Phase 3 Study of Ibalizumab for Multidrug-Resistant HIV-1. New England Journal of Medicine 2018; 379:645-654.
  3. Gathe JC, et al. Efficacy, Pharmacokinetics, and Safety Over 48 Weeks With Ibalizumab-Based Therapy in Treatment-Experienced Adults Infected With HIV-1: A Phase 2a Study. Journal of Acquired Immune Deficiency Syndromes (1999) 2021; 86:482-489.
  4. Rose R, et al. Clinical evidence for a lack of cross-resistance between temsavir and ibalizumab or maraviroc. AIDS 2022; 36:11-18.
  5. Agenzia Italiana del Farmaco. Fondo Nazionale AIFA (“Fondo 5%”). https://www.aifa.gov.it/en/fondo-nazionale-aifa. Ultimo accesso: 24/04/2022.
  6. Bravo MC, et al. Hypersensitivity reaction to darunavir and desensitization protocol. Journal of Investigational Allergology & Clinical Immunology 2009; 19:250-251.

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