I dati epidemiologici sull’andamento della infezione da HIV in Italia (1) evidenziano come il 25% circa dei soggetti sia rappresentato da donne e come gli stranieri costituiscano ormai quasi 1/3 delle nuove infezioni. I due dati in parte si sovrappongono, perché la stragrande maggioranza delle donne che scopre di avere la infezione da HIV è straniera (Tabella 1 e Figura 1).
Donne e stranieri (immigrati) sono due popolazioni su cui porre molta attenzione, in primis per le loro peculiarità sociali e culturali, che le espongono a situazioni di fragilità rispetto alla salute (difficoltà di accesso alle cure, sia primarie che specialistiche, scarsa attitudine a cambiamenti di stili di vita), amplificate da situazioni di emergenza come quella della pandemia da COVID-19 (2).
Dal punto di vista terapeutico le linee guida italiane, nella loro versione più recente (2017), sottolineano da una parte l’importanza di adottare regimi semplici (single tablet regimen o STR), per favorire al massimo l’aderenza (il cui non rispetto costituisce una delle vulnerabilità di entrambi i gruppi) e dall’altra la genitorialità (gravidanza). Non tutti i farmaci antiretrovirali normalmente utilizzati nella pratica clinica hanno la indicazione di utilizzo per la donna gravida o che entra in un progetto di maternità. Inoltre, molti immigrati mantengono un forte legame con il proprio Paese di origine, il che implica un saltuario ritorno in patria, con il possibile rischio di andare in carenza di farmaco antiretrovirale se il periodo di soggiorno dovesse prolungarsi, per qualsiasi motivo (emergenza COVID-19 compresa), oltre il previsto.
L’esperienza torinese
Dei 1200 pazienti con infezione da HIV seguiti presso l’ambulatorio della S.C. di Malattie Infettive e Tropicali della ASL Città di Torino, le donne rappresentano il 21% e di esse il 35% circa sono straniere. La percentuale di immigrati scende al 12% nella popolazione maschile. Una problematica emergente è rappresentata dall’aumento di peso corporeo, con tutte le implicazioni sulla qualità della salute che esso comporta, che sembra essere particolarmente evidente nelle donne di origine africana.
Il nostro gruppo CISAI era stato tra i primi a descrivere questo fenomeno (3) ed attualmente le osservazioni cliniche che via via si sono accumulate nel tempo portano ad identificare il binomio FTC/TAF + inibitore dell’integrasi (INSTI, INtegrase Strand Transfer Inhibitor) come quello a maggior rischio di indurre weight gain, sia nei pazienti naive (4) che in coloro che passano a terapie di seconda o successiva linea (5). È chiaro che la pandemia, per la sedentarietà che i vari lockdown hanno imposto, accompagnata da un maggior introito calorico, ha costituito un fattore confondente importante. Sta emergendo tuttavia come anche farmaci così performanti come quelli della classe degli INSTI mostrano dei possibili limiti, soprattutto nell’ambito della triterapia basata sul TAF come componente del backbone (Figura 2).
Inoltre, nella esperienza del nostro Centro, si è osservato come le donne siano a maggior rischio di eventi avversi di tipo neuropsichiatrico INSTI-correlati.
Proprio recentemente è stato osservato il caso di una donna nigeriana di 41 anni che, passata, in situazione di soppressione virologica prolungata e di buona aderenza, da BIC/FTC/ TAF a DTG/3TC per ragioni di semplificazione, ha avuto un netto peggioramento della propria qualità del sonno, già in parte penalizzata da BIC/FTC/TAF, con comparsa di veri e propri incubi. La sostituzione della componente INSTI con un farmaco della classe degli inibitori della proteasi (PI) ha portato alla completa risoluzione di tale sintomatologia invalidante.
Come scegliere la terapia nei pazienti complessi
Per le donne e gli immigrati, pertanto, alla luce delle considerazioni sovra esposte, il concetto di terapia personalizzata è quanto mai da perseguire. Se la strategia basata sui regimi STR è di gran lunga da preferire, anche per la facilità di assunzione in contesti di comunità, di gruppo o di etnia, in cui si debba e si voglia assolutamente difendere la propria privacy, non tutte le STR sono uguali. A parte quelle legate agli obblighi di assunzione con il cibo, la tollerabilità, la barriera genetica (intesa come forgiveness), la sicurezza e il potenziale di induzione di lipoaccumulo devono orientare le scelte. Nella casistica del nostro centro, il 23% delle donne (su di un totale di 228) assume una ART che contiene l’inibitore delle proteasi darunavir. Sono in corso valutazioni di tipo metabolico longitudinali (semplici misurazioni antropometriche) per capire da una parte se questo gruppo sia protetto o meno dall’aumento di peso e dall’altra se eventuali switch terapeutici verso PI o NNRTI (inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa) possano costituire un aiuto nell’invertire la progressione di aumento di peso in soggetti con ART a base di INSTI, che costituiscono comunque i farmaci di riferimento per la costruzione della ART.
Bibliografia
- Notiziario dell’ Istituto Sup. Sanità, vol. 33, num. 11, nov 2020.
- Quiros-Roldan E, Magro P, Carriero C, Consequences of the COVID-19 pandemic on the continuum of care in a cohort of people living with HIV followed in a single center of Northern Italy. AIDS Res Ther. 2020;17(1):59.
- Taramasso L, Ricci E, Menzaghi B, Orofino G, et al. CISAI Study Group Weight Gain: A Possible Side Effect of All Antiretrovirals Open Forum Infect Dis. 2017 Nov 3;4(4):eCollection 2017.
- Sax PE, Erlandson KM, Lake JE, et al. Weight Gain Following Initiation of Antiretroviral Therapy: Risk Factors in Randomized Comparative Clinical Trials. Clin Infect Dis. 2020;71(6):1379-1389.
- Lake JE, Wu K, Bares SH, et al.. Risk Factors for Weight Gain Following Switch to Integrase Inhibitor-Based Antiretroviral Therapy. Clin Infect Dis. 2020;71(9):e471-e477.