L’infiammazione è un processo complesso e sempre più implicato nella patogenesi di malattie “insospettabili” come l’infarto del miocardio e il cancro ed è suddivisa classicamente in una forma acuta e forma cronica (che subentra quando non riesce ad eliminare la causa che l’ha indotta). L’infiammazione acuta è una componente fondamentale della risposta immunitaria “innata” alle malattie infettive, fondamentale anche per orientare la risposta immunitaria adattiva con la polarizzazione dei linfociti T CD4+ a cellule Th1 in grado di stimolare i linfociti B a produrre un particolare sottotipo di anticorpi in grado di fissare il complemento e di potenziare i linfociti T CD8+ nella loro funzione citotossica finalizzata ad eliminare le cellule infettate.
Il ruolo di IL-1
Una citochina chiave nell’orchestrare il processo infiammatorio acuto è interleuchina-1 (IL-1) che condivide con il Tumor Necrosis Factor-α (TNF-α) il “primato” in questa categoria. Altre citochine infiammatorie molto importanti sono IL-12 (che induce il differenziamento Th1 dei linfociti T CD4+ vergini) e interferone-γ (IFN-γ) secreta dalle cellule Th1 in grado di sinergizzare con IL-1 e TNF-α in senso antivirale. IL-1, tuttavia, si distingue dalle altre citochine infiammatorie per un proprio sistema di regolazione particolarmente complesso e comprensivo di:
- due citochine (IL-1α e IL-1β) che, pur inducendo lo stesso effetto sulle cellule bersaglio, sono diverse per modalità di secrezione essendo IL-1α un’intrachina, cioè una citochina liberata dalle cellule in seguito alla loro necrosi, mentre IL-1β viene secreta (come la molecola “cugina” IL-18) quale conseguenza dell’assemblaggio tipo Lego dell’Inflammosoma intracellulare;
- due recettori di superficie di cui uno (tipo 1) in grado di trasmettere (trasdurre) alle cellule che lo esprimono il segnale di attivazione innescato dal legame a IL-1α/IL-1β, mentre l’altro (tipo 2) è un decettore che lega le citochine, ma non trasmette nessun segnale e, quindi, ne promuove la degradazione.
A questo già complesso sistema, si aggiunge una molecola peculiare, nota come antagonista recettoriale di IL-1 (IL-1ra) la cui unica funzione è di competere con IL-1α/IL-1β per il legame al recettore di tipo 1 (mentre non si lega al tipo 2, evitando così che due sistemi inibitori si annullino a vicenda) (Figura 1).
Ciò che rende quasi unica questa molecola è il fatto di essere già un farmaco bello e pronto, anche se la sua versione farmacologica, anakinra, è una molecola ricombinante con un amminoacido in più, metionina, al suo N terminale per poter essere sintetizzata dai batteri (E. coli). Prima di COVID-19, anakinra è stato utilizzato in diverse patologie infiammatorie (1).
Le fasi della malattia
La malattia nota come COVID-19 è indotta in una minoranza di persone infettate da SARS-CoV-2 (SARS Coronavirus 2), così chiamato per distinguerlo dal SARS-CoV (o SARS-CoV-1) che ha causato la Severe Acute Respiratory Syndome nel 2002-2003 [8.000 infezioni e circa 800 morti in tutto il mondo, (2)]. È riconosciuto che esistono almeno tre fasi, se non quattro, in coloro che sviluppano una malattia clinica rilevante al punto da richiedere un’ospedalizzazione ed eventualmente il ricorso alla terapia intensiva (Figura 2).
Una prima fase dominata dalla replicazione virale e associata a sintomi relativamente lievi e comuni a molte infezioni respiratorie della durata media di 7-10 giorni post-infezione. In questa fase, terapie dirette ad inibire l’infezione virale, come gli anticorpi monoclonali approvati da FDA per uso emergenziale possono risultare particolarmente efficaci. L’impiego di molecole ad attività antivirale in questa fase di malattia è invece poco comune e gli studi fatti nelle fasi più avanzate danno risultati talvolta controversi sulla loro efficacia clinica.
Una seconda fase definita polmonare in cui continua la replicazione virale, ma emergono importanti sintomi a carico dell’apparato respiratorio dovuti ad un quadro di polmonite interstiziale frequentemente bilaterale. Questa fase, se non contrastata farmacologicamente, può evolvere naturalmente nella terza fase caratterizzata dalla cosiddetta tempesta citochinica infiammatoria che può evolvere nell’ARDS (Acute Respiratory Distress Syndrome), altamente mortale, per la quale è stato approvato l’uso di desametasone (un classico farmaco pan-anti-infiammatorio) e sono allo studio molte molecole, tra cui anakinra.
Infine, una quarta fase, definita Long COVID, di cui sappiamo ancora troppo poco se non che molti ex-malati di COVID-19 continuano a manifestare sintomi rilevanti, per esempio a carico del Sistema Nervoso Centrale o Periferico, anche senza evidenza di replicazione virale (3).
L’utilizzo di anakinra
Cosa possiamo dire oggi sull’utilizzo di anakinra per combattere la malattia da COVID-19? Innanzitutto, che da una ricerca su PubMed, emergono 124 pubblicazioni relative all’uso di questo farmaco anti-infiammatorio, ovviamente tutte del 2020. Un presupposto importante a sostegno dell’uso di anakinra rispetto ad altri agenti anti-infiammatori è la selettività del suo meccanismo d’azione, esclusivamente mirato a interrompere o mitigare lo stimolo infiammatorio indotto da IL-1α (rilasciata in seguito a danno epiteliale o endoteliale) e/o IL-1β, senza intaccare la capacità del sistema immunitario di rispondere a infezioni batteriche o fungine, sovente causa di complicazioni secondarie eventualmente mortali di polmoniti virali, come già osservato in seguito alla pandemia d’Influenza Spagnola del 1918-’19 (5, 6). Tuttavia, l’interruzione di un circuito di autoinduzione della secrezione di IL-1β comporta anche una riduzione dei livelli di IL-6, citochina implicata nell’amplificazione del danno infiammatorio causato da SARS-CoV-2 e bersaglio, a livello recettoriale, di un altro farmaco sperimentale ovvero l’anticorpo monoclonale umanizzato tocilizumab (7). Inoltre, a differenza dei farmaci inibitori delle Janus kinases (JAK), anakinra non blocca l’attivazione della cascata dell’IFN di grande rilevanza nella difesa dalle infezioni virali (8). L’ottimo profilo di sicurezza di anakinra associato alla sua breve emivita plasmatica lo rendono molto maneggevole da un punto di vista terapeutico (1) a differenza di agenti a più lunga emivita come, appunto, tocilizumab. A questo riguardo, relativamente al monitoraggio dell’effetto anti-infiammatorio di anakinra è possibile utilizzare il dosaggio della ferritina, esame disponibile in moltissimi laboratori di analisi (8).
Anakinra è stato testato in diverse coorti di pazienti, da casi aneddotici (9, 10) a trial di maggiore entità (11) (Tabella 1).
Risposte benefiche sono state riportate rispetto a controlli storici, sebbene si sia comunque verificata un’alta mortalità in alcuni studi, per esempio in pazienti in fase molto avanzata di malattia complicata da linfoistiocitosi emofagocitica (12). Uno studio indipendente su 5 pazienti in fase avanzata di malattia ha evidenziato una risposta clinica favorevole ad anakinra (13), mentre in un altro studio è stato somministrato a 3 pazienti affetti da leucemia con un profilo infiammatorio e livelli di ferritina molto alti confermandone gli effetti benefici (14). In uno studio retrospettivo francese, anakinra è stato somministrato a 12 pazienti in fase avanzata di malattia e comparato a terapia standard in 10 pazienti con risultati favorevoli per il farmaco sia in termini di efficacia clinica, anche come prevenzione della necessità di ventilazione forzata, che di profilo di sicurezza (15). Un recente studio italiano ha inoltre valutato l’associazione di anakinra con un corticosteroide (metilprednisolone) in 65 pazienti in fase avanzata di malattia rispetto a 55 controlli storici riportando una significativa riduzione della mortalità (13,9% rispetto a 35,6%) (16).
Anakinra è stato utilizzato anche in pazienti meno gravi e non in terapia intensiva con risultati promettenti (72% di beneficio clinico), confermando un ottimo profilo di sicurezza (17). Un secondo studio indipendente ha valutato 52 pazienti consecutivi rispetto a 44 pazienti storici; la necessità di intervento di ventilazione forzata in terapia intensiva è stata riscontrata in 13 pazienti (25%) trattati con anakinra rispetto a 32 (73%) del gruppo storico, con significatività statistica conservata anche dopo analisi multivariata (18).
Questi diversi studi interventistici osservazionali hanno supportato il disegno di uno studio prospettico randomizzato di fase 2 (Efficacy and Safety of Emapalumab and Anakinra in Reducing Hyperinflammation and Respiratory Distress in Patients With COVID-19 Infection, NCT04324021) tutt’ora in corso. I presupposti per questi studi sono buoni ed è ragionevole pronosticare che anakinra diverrà un prezioso presidio da associare ad altri farmaci anti-infiammatori per contrastare le fasi II-III di malattia e a farmaci antivirali di comprovata efficacia contro SARS-CoV-2.
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