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Inibitori del checkpoint immunitario e HIV | Il checkpoint...

Il checkpoint immunologico potrebbe essere un importante target...

N.3 2018
Percorsi clinici
Inibitori del checkpoint immunitario e HIV

Andrea Cossarizza
Patologia Generale e Immunologia, Università di Modena e Reggio Emilia

Il checkpoint immunologico potrebbe essere un importante target terapeutico per prevenire e trattare alcune malattie infettive: malaria, tubercolosi, epatite, infezione da HIV. Inoltre questa strategia potrebbe essere utilizzata anche per migliorare lo sviluppo e l’utilizzo di vaccini tenendo però conto di alcuni rischi potenziali legati all’uso di queste molecole.

 

Il sistema immunitario deve riconoscere e combattere una grande quantità di patogeni: la funzione forse più rilevante è quella di tenere sotto controllo l’eventuale sviluppo e crescita di cellule neoplastiche. A sua volta, però, deve essere adeguatamente controllato. Infatti, ogni risposta immunitaria mette in moto processi di attivazione e proliferazione sia di linfociti, sia di altri tipi cellulari che se lasciati agire in modo continuativo potrebbero provocare gravi danni all’organismo, a causa del loro potenziale lesivo, pro-infiammatorio o direttamente citotossico. Per questo motivo esistono molti meccanismi di regolazione che mettono in moto i cosiddetti “checkpoint immunitari”, fini meccanismi basati sull’utilizzo di molecole che sono fondamentali per mantenere la tolleranza al self e limitare il danno tissutale, spesso necessario, presente durante le risposte antimicrobiche o antitumorali (1). Si tratta di recettori identificati già da diversi anni, i principali sono le molecole CTLA-4 (oggi chiamato CD152), il PD-1 (programmed death-1, oggi CD279), il TIM3, il TIGIT e il LAG3, la cui attivazione inibisce la risposta immunitaria e ne causa il cosidetto esaurimento funzio-nale. Cellule che esprimono il CD152 o il CD279 possono essere facilmente “spente”, ovvero non sono più in grado di compiere la loro funzione, quando una di queste molecole viene attivata dal suo ligando specifico (il CD80 o CD86 nel caso del CD152, il PD-L1/CD274 nel caso del CD279) (Figura 1). Questo fenomeno è stato anche osservato per linfociti T CD4+ e CD8+ specifici per l’HIV (2).

Nuovi antitumorali

E’ stato di grande importanza aver capito che molti tipi di cellule tumorali sono in grado di produrre i ligandi di questi recettori per sfuggire alle difese immunitarie. In altre parole, utilizzando le interazioni tra le molecole sopraccitate, molti tipi di tumori possono attivare l’inibizione delle cellule immunitarie che li infiltrano. Negli ultimi anni sono stati sviluppati diversi farmaci biologici che interrompono queste interazioni legandosi alle molecole dei checkpoint immunitari. In particolare, sono stati prodotti anticorpi monoclonali quali ipilimumab per il CD152, nivolumab e pembrolizumab per il CD279, durvalumab, atezolizumab e avelumab per il CD274. Questi innovativi farmaci hanno letteralmente cambiato la prognosi di pazienti con neoplasie quali il melanoma maligno (3). Infatti, linfociti non più inibiti possono continuare a distruggere le cellule tumorali circostanti e ridurre in modo drammatico le masse neoplastiche che hanno infiltrato. La biologia dei percorsi del checkpoint immunitario contiene però ancora molti misteri, e lo spettro completo di attività di questi farmaci, che vengono solitamente usati da soli, ma potrebbero funzionare meglio se somministrati in diverse combinazioni, è oggetto di intensi studi data la loro possibile applicazione ad altre patologie.

Checkpoint immunologici: nuovi target terapeutici?

Già sappiamo che sia durante infezioni acute come la malaria o diverse infezioni virali, sia durante infezioni virali croniche persistenti (tra cui HIV e virus dell’epatite B) avviene una sovraregolazione delle molecole del checkpoint immunitario (4, 5).

L’iperespressione di tali molecole è osservabile in diversi tipi cellulari, dai linfociti CD4+ ai CD8+, dalle cellule NK alle iNKT (6). Questo fenomeno è naturalmente importante per prevenire o limitare una eventuale patologia immuno-guidata, ma può anche limitare il controllo dell’infezione in atto. I successi nella terapia per il cancro suggeriscono però che il checkpoint immunologico potrebbe essere un importante target terapeutico per prevenire e trattare una serie di malattie infettive, dalla malaria alla tubercolosi, dall’epatite all’infezione da HIV (7) (Figura 2).

Inoltre, questa strategia potrebbe essere utilizzata anche per migliorare lo sviluppo e l’utilizzo di vaccini. Bisogna però tener conto di alcuni rischi potenziali legati all’uso di queste molecole. L’inibizione della inibizione immunitaria potrebbe portare ad una deregolazione delle risposte, con conseguente sviluppo di fenomeni autoimmuni (8). Questo fenomeno è ben noto agli oncologi, che infatti valutano sempre molto attentamente l’insorgenza di tali patologie nei pazienti trattati con inibitori dei checkpoint immunologici.

Un altro aspetto di una certa rilevanza potrebbe essere legato ai rapporti tra l’espressione di queste molecole e la latenza del virus. E’ stato visto che pazienti trattati con nivolumab possono presentare un modico aumento del viral load ma una drastica riduzione dell’HIV DNA (9, 10). Inoltre, è stato osservato in vitro che cellule CD4+ di memoria che esprimono il CD279 contengono una grande quantità di virus in forma latente, e che il trattamento con anti-CD279 aumenta la produzione virale (10). Si può quindi pensare di utilizzare un approccio basato su queste molecole per sbloccare la latenza dell’HIV e rendere riconoscibili le cellule infette. Infine, va ricordato che diversi studi su pazienti con HIV e neoplasie hanno prodotto risultati molto interessanti, mostrando che anche in pazienti che hanno un certo grado di immunodeficienza legata all’infezione, il blocco del checkpoint immunologico permette un netto miglioramento della patologia tumorale (11, 12). Questi farmaci quindi rappresentano una potentissima arma in più che può essere usata nei pazienti HIV che sviluppano neoplasie.

 

Bibliografia

  1. Mayes PA, Hance KW, Hoos A. The promise and challenges of immune agonist antibody development in cancer. Nat Rev Drug Discov. 2018; 17(7):509-527.
  2. Porichis F, Kwon DS, Zupkosky J, et al. Responsiveness of HIV-specific CD4 T cells to PD-1 blockade. Blood. 2011; 118(4):965- 74.
  3. Wolchok JD, Rollin L, Larkin J. Nivolumab and Ipilimumab in Advanced Melanoma. N Engl J Med. 2017; 377(25):2503-2504.
  4. Banga R, Procopio FA, Noto A, et al. PD-1+ and follicular helper T cells are responsible for persistent HIV-1 transcription in treated aviremic individuals. Nature Medicine. 2016; 22(7):754-761.
  5. Fromentin R, Bakeman W, Lawani MB, et al. CD4+ T Cells Expressing PD-1, TIGIT and LAG-3 Contribute to HIV Persistence during ART. PLoS Pathog. 2016; 12(7):e1005761.
  6. De Biasi S, Bianchini E, Nasi M, et al. Th1 and Th17 proinflammatory profile characterizes invariant natural killer T cells in virologically suppressed HIV+ patients with low CD4+/CD8+ ratio. AIDS. 2016; 30(17):2599-2610.
  7. Wykes MN, Lewin SR. Immune checkpoint blockade in infectious diseases. Nat Rev Immunol. 2018; 18(2):91-104.
  8. Day D, Hansen AR. Immune-Related Adverse Events Associated with Immune Checkpoint Inhibitors. BioDrugs. 2016; 30(6):571- 584.
  9. Guihot A, Marcelin AG, Massiani MA, et al. Drastic decrease of the HIV reservoir in a patient treated with nivolumab for lung cancer. Ann Oncol. 2018; 29(2):517-518.
  10. Evans VA, van der Sluis RM, Solomon A, et al. Programmed cell death-1 contributes to the establishment and maintenance of HIV-1 latency. AIDS. 2018; 32(11):1491-1497.
  11. McCullar B, Alloway T, Martin M. Durable complete response to nivolumab in a patient with HIV and metastatic non-small cell lung cancer. J Thorac Dis. 2017; 9(6):E540-E542.
  12. Ostios-Garcia L, Faig J, Leonardi GC, et al. Safety and Efficacy of PD-1 Inhibitors Among HIV-Positive Patients With Non-Small Cell Lung Cancer. J Thorac Oncol. 2018; 13(7):1037-1042.

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