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Il sistema nervoso centrale nell’infezione da HIV e nella...

Un’intervista al professor Andrea Antinori dell’INMI Lazzaro...

N.1 2024
Clinica HIV
Il sistema nervoso centrale nell’infezione da HIV e nella malattia COVID-19

Intervista a Andrea Antinori, INMI Lazzaro Spallanzani IRCCS, Roma

Un’intervista al professor Andrea Antinori dell’INMI Lazzaro Spallanzani di Roma su un argomento che, sin dagli esordi dell’epidemia da HIV, è stato oggetto di dibattito scientifico: dalla visione SNC centrica, all’impatto dei disturbi cognitivi, ormai relegato a forme asintomatiche o sintomatiche lievi grazie alla ART, alle possibili analogie e alle certe differenze tra gli effetti di HIV e Sars-CoV-2 sul sistema nervoso centrale.

 

Agli esordi dell’epidemia di AIDS, le manifestazioni cliniche dei primi anni caratterizzate dal tropismo per il SNC di HIV erano tali da orientare i ricercatori ad apparentarlo ai lentivirus neurotropi. Pensa sia giustificata questa visione SNC centrica?
Nei primi anni dell'epidemia, la questione del neurotropismo di HIV è stata molto dibattuta e controversa. Si sa che HIV non è un virus neurotropo in senso stretto, in quanto le prove per l’infezione dei neuroni sono molto limitate e deboli e anche le cellule della glia cerebrale di derivazione neuronale non sono sicuramente il target principale dell'infezione del SNC.
In realtà, le cellule target di HIV all’interno del SNC sono per lo più cellule macrofagiche, macrofagi e cellule di derivazione mesenchimale. HIV, sfruttando il trafficking attraverso la barriera ematoencefalica dei linfociti T infettati, si replica all’interno del sistema nervoso nelle cellule di derivazione monocito-macrofagica-mesenchimale, producendo un danno indiretto a livello neuronale mediato da chemochine e altri fattori di rilascio immunitario oppure un danno diretto da parte delle stesse proteine virali (es. la proteina GP120 o la proteina TAT9) tramite l’induzione dell’apoptosi delle cellule cerebrali.
Accanto a questo modello classico, si è fatta spazio un'altra interpretazione patogenetica che è al centro del dibattito scientifico sul ruolo dei linfociti T come reservoir. I modelli degli ultimi anni evidenziano come i linfociti T rappresentino non solo lo strumento con cui HIV entra nel cervello attraverso la barriera ematoencefalica e vi rilascia il virus all’interno, ma siano anche il serbatoio potenziale di infezione cerebrale.
Di conseguenza, la visione SNC centrica ha fondamento se si fa riferimento al fatto che l'invasione del sistema nervoso riguarda tutti i pazienti con HIV e che la carica virale di HIV è altissima nel liquor, mentre non è appropriata se si intende l'infezione cerebrale della parte più nobile del cervello, cioè quella neuronale. HIV non è un prototipo di virus neurotropo, ma è sicuramente un virus che ha nel sistema nervoso un serbatoio anatomico molto importante di replicazione.

I nuovi casi di AIDS dei paesi in via di sviluppo ed i pochi casi nel nostro paese meritano ancora molta attenzione alla diagnosi delle infezioni opportunistiche e HIV del SNC? 
Certamente perché oggi in tutti i paesi europei, negli Stati Uniti e nei paesi ad alto tenore di risorse è rilevante la prevalenza di late presentation/late diagnosis.
L'ultima sorveglianza dell'Istituto superiore di sanità relativa all'anno 2022 indica che il 58% di nuove diagnosi in Italia sono fatte in fase tardiva e il 40% in fase di malattia conclamata. Il che significa che 4 ogni 10 pazienti esordiscono la loro storia di malattia in una situazione di malattia vera e propria, e la presenza di infezioni opportunistiche del SNC rappresenta una quota consistente di tutte le infezioni opportunistiche: criptococcosi cerebrale, toxoplasmosi cerebrale, leucoencefalopatia multifocale progressiva, la stessa encefalite da HIV o altre manifestazioni cerebrali che si manifestano nel corso di tubercolosi oppure siano linfomi primitivi o secondari cerebrali.
Quindi il novero di patologie che interessano il cervello nell'ambito delle manifestazioni opportunistiche è sempre stato ampio e rimane un aspetto importante della malattia da HIV, con morbilità e mortalità elevate, e di difficile curabilità indifferentemente per i paesi a basso e a alto tenore di risorse.

Sorprendente ed inaspettato è il ridimensionamento della patologia a carico del SNC e la reversion di malattie acute che si pensavano invincibili. Ci dobbiamo aspettare un altrettanto favorevole scenario per la tanto temuta lenta progressione delle HAND negli anni a venire?
Le HIV-associated neurocognitive disorders (HAND) sono state da tempo classificate, e offrono una visione più completa del vecchio concetto di demenza, tanto da comprendere oltre a questa, che rappresenta lo stadio più avanzato delle HAND, le forme sintomatiche lievi e addirittura asintomatiche di disturbo cognitivo.
Le HAND hanno una frequenza stimata cumulativamente negli ultimi anni che si aggira intorno al 24-25%. Tuttavia, la prevalenza delle HAND si è notevolmente ridotta passando, come mostrato in una nostra casistica molto ampia di persone studiate ai test neurocognitivi, dal 39%, con un picco del 50%, tra il 2009 e il 2011 al 18% circa dell’ultimo periodo di rilevazione 2018-2020. Queste manifestazioni sono causate da eventi multifattoriali, in cui riveste una parte di rilievo la replicazione virale nel sistema nervoso e l'attivazione nel sistema nervoso di tutta una serie di danni, anche in questo caso innescati da mediatori immunitari, che inducono la morte neuronale e una malattia di tipo degenerativo.
La malattia è in grado di progredire lentamente nel corso degli anni, manifestandosi all’inizio in forma sostanzialmente asintomatica, al di sotto della soglia clinica, in genere visibile solo ai test neurocognitivi/neuropsicologici e senza interferenze con la normale funzione dell'attività quotidiana; poi con lievi deficit di attenzione, memoria, concentrazione, fino alla manifestazione di demenza vera e propria.
Oggi la quasi totalità delle HAND è relegata a forme asintomatiche, mentre le forme cosiddette lievi e la demenza sono intorno al 2-3% della nostra popolazione in trattamento; quindi grazie al forte impatto della terapia antiretrovirale e alla sua capacità di preservare da questo tipo di evoluzione, il fenomeno si è molto ridimensionato.  Tuttavia, questi disturbi hanno una genesi multifattoriale. I pazienti HIV positivi tendono a essere più anziani e, anche in caso di virus soppresso e ben controllato, l'invecchiamento implica un fisiologico declino della funzione cognitiva. In questo contesto insistono anche fattori metabolici che, comportando l'aumento del rischio cardiovascolare e cerebrovascolare, agiscono come meccanismo di stabilizzazione di un danno di tipo degenerativo. Questo concorso di cause fa sì che, se la quota legata direttamente al virus si è drasticamente ridotta ed è riflessa nel quasi azzeramento della vecchia demenza da HIV, il problema ha comunque un peso, rendendo necessario il monitoraggio di queste funzioni soprattutto in pazienti a rischio particolarmente vulnerabili.

È stata utile la ricerca su HIV ed immunità del SNC per lo sviluppo delle conoscenze in questo campo, dato il peculiare rapporto tra il virus e la risposta immune nei suoi confronti?  
Come accennato, HIV produce nel SNC una risposta immunitaria di tipo anticorpale e veicolata da molti prototipi cellulari, soprattutto linfociti. Inoltre, il sistema immunitario in risposta allo stimolo della presenza di HIV produce una serie di mediatori di rilascio che sono espressione del potenziale danno cronico neurologico. Questi mediatori immunologici che si possono ritrovare nel liquor (es. beta2 microglobulina, neopterina e proteina IP10) sono biomarcatori del danno cerebrale legato all'infezione da HIV. Pur non potendoli considerare marcatori diagnostici in senso stretto, al pari dei biomarcatori infiammatori nel plasma o nel sangue periferico, sono delle misure che possono aiutare, prevalentemente all'interno di protocolli di ricerca e di studio, a comprendere e approfondire meglio il fenomeno e caratterizzarlo dal punto di vista dei meccanismi patogenetici.

L’infezione da SARS-CoV-2 ha implicazioni neuropsichiche nei sieropositivi per HIV, ci sono analogie o differenze tra HAND e long term Covid?
La malattia da HIV del SNC è adeguatamente caratterizzata. In 40 anni, la ricerca sulla interconnessione tra HIV e sistema nervoso ha prodotto centinaia di lavori, innumerevoli modelli patogenetici in laboratori che, da anni, si dedicano totalmente a studiarne le dinamiche nell'infezione acuta, nell'infezione cronica e nell'infezione avanzata. La malattia da HIV nel SNC è molto ben inquadrata. Rimangono poche questioni aperte; manca ancora la chiara comprensione, ad esempio, su come i farmaci controllano i meccanismi, se esclusivamente a livello periferico o se invece c'è un valore alla neuropenetrazione. Siamo invece nel campo delle ipotesi sui meccanismi del danno del SNC da Covid-19, soprattutto per quanto riguarda la sindrome PASC (Post-acute sequelae of Covid-19) che si manifesta con un quadro clinico che può assumere i caratteri di cronicità o comunque di malattia persistente, a dispetto della guarigione sia biologica che clinica della fase acuta della malattia.
La caratterizzazione dal punto di vista neuropsichiatrico della PASC è ancora incompleta. È presente una forte dominanza di quadri di tipo ansioso-depressivo, ma è difficile attribuirne la causa alle sindromi depressive successive a una malattia grave oppure stabilire che siano legate alla persistenza di uno specifico fattore scatenante. Inoltre, è controverso l’impatto neurocognitivo. Alcuni gruppi di studio, come il nostro, hanno rilevato un’elevata prevalenza di deficit cognitivo nei pazienti Covid-19, che comunque non trova riscontro in altri studi.
Nonostante Covid-19 sia una malattia in grado di evocare una risposta di tipo infiammatorio anche nella fase acuta, i biomarcatori di danno neuronale o di immuno-attivazione all’interno del SNC sono scarsamente inquadrati e riproducibili. D’altronde, Sars-CoV-2 non è un virus cronicamente infettante e replicante come HIV, per cui è difficile evidenziarne il coinvolgimento nella persistenza dei sintomi neurocognitivi in persone guarite dall’infezione.
Finora, le ipotesi più sostenibili riguardano un possibile meccanismo di tipo immuno-infiammatorio che, scatenato dalla fase acuta, si mantiene nel tempo. Altri modelli patogenetici implicano la presenza di concause poiché la PASC è più frequente in pazienti con elevata comorbidità, che hanno avuto una malattia grave, che sono stati in rianimazione.

Quali sono le novità, le prospettive di “cura” in ambito HIV e SNC?
Molto si sa sul SNC e, al di là della penetrazione bassa o alta all'interno del compartimento neurologico, i farmaci disponibili sono comunque molto efficaci nel controllare l’infezione e la replicazione di HIV, e quindi di proteggere il SNC dall’infezione persistente e dal danno a lungo termine. Tuttavia, il SNC rimane un serbatoio anatomico di grande importanza, in cui HIV ha caratteristiche di infezione molto diverse da quelle della periferia; ci sono fenotipi virali diversi che albergano e sopravvivono nel sistema nervoso e ci sono tipi cellulari che permettono la persistenza e la replicazione del virus.
Oggi il termine “cura” rimanda a un obiettivo affrontato ma non ancora raggiunto; significa la possibilità di operare dei trattamenti che non sono solo antivirali e che insistono sulla mobilitazione del virus dai serbatoi per poterlo stanare ed eliminare dalla sua riserva naturale in modo che, in prospettiva, l’interruzione del trattamento significhi automaticamente non avere più un'infezione replicante.
Per questi motivi, il sistema nervoso rimane un fondamentale ambito di studio perché, a prescindere da disturbi cognitivi, demenza e infezioni opportunistiche, è un serbatoio importantissimo, difficile da controllare proprio per le sue caratteristiche anatomiche. Quindi le conoscenze dell'infezione da HIV nel sistema nervoso, dall'infezione acuta fino alla fase più avanzata di malattia, sono preziosissime e fondamentali per capire come predisporre modelli di eradicazione dell'HIV, perché se non si eradica il virus dal sistema nervoso sarà ben difficile eradicarlo del tutto dall'organismo.

Chi vuole approfondire l'argomento troverà qui il report del congresso NeuroHIV 2023

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