Nel corso dell'infezione cronica da HBV l'interazione tra la replicazione virale e la risposta immune tende a variare nel tempo. Per tale ragione la sua storia naturale è stata divisa in cinque fasi (Tabella 1), definite in base alla presenza o assenza di HBeAg e ai livelli di HBV-DNA, oltre che ai livelli di alanina aminotransferasi (ALT) sierici e/o di infiammazione epatica accertata istologicamente (1-3). Questa classificazione, che mira a separare i soggetti con sola infezione da quelli con epatite cronica B (CHB) da avviare a terapia antivirale, contiene però elementi d’incertezza legati all’andamento fluttuante dell’HBV-DNA (4).
Una migliore accuratezza nell’identificare alla prima osservazione la condizione d’infezione cronica HBeAg negativa (ENI) si ottiene alla presenza di bassi livelli di HBsAg (≤1.000 UI/mL) e di HBV-DNA (≤2.000 UI/mL) (5). Tale condizione, inizialmente evidenziata in Italia nei soggetti con infezione da genotipo D, è stata poi confermata anche in Oriente ove prevalgono i genotipi B e C (6). Pertanto, nell’ultimo decennio la misura quantitativa dell’HBsAg (qHBsAg) si è affermata sia nella distinzione tra infezione e malattia nella fase HBeAg negativa, che in corso di trattamento antivirale per valutare la risposta, in particolare all'interferone.
Oltre al qHBsAg, altri due nuovi biomarcatori sierici dell'HBV, l’antigene correlato al core dell'epatite B (HBcrAg: Hepatitis B core-related antigen) e l’HBV-RNA, sono stati studiati con diversi obiettivi: migliorare la caratterizzazione delle fasi dell'infezione cronica da HBV, determinare il rischio individuale di riattivazione nei pazienti che sospendono gli analoghi nucleos(t)idici (NUC) e valutare su target molecolari specifici l’efficacia dei nuovi antivirali in fase di sperimentazione (7).
L’HBcrAg combina la reattività antigenica risultante dall’HBeAg denaturato, dall’antigene HBV core (HBcAg) e da una proteina core-related di 22 kDa (p22cr), ritrovata nelle particelle “virion-like” senza HBV-DNA (8). L’HBcrAg, quindi, avrebbe una maggior sensibilità quando l’infezione è sostenuta dai mutanti Pre-core HBeAg difettivi. Inoltre, è stato dimostrato che l'HBcrAg sierico correla con il cccDNA, in particolare nei pazienti HBeAg positivi (9).
La terapia con NUC riduce la produzione di virioni contenenti HBV-DNA, ma non l’attività di trascrizione e traduzione degli mRNA virali, pertanto le proteine HBcAg e HBeAg continuano ad essere prodotte.
Di conseguenza, l’HBcrAg potrebbe fornire informazioni utili anche nei pazienti con viremia soppressa, tanto che nel 2014 la misurazione combinata dei livelli di HBsAg e HBcrAg è stata consigliata dalle linee guida giapponesi per predire il rischio di recidiva dell’epatite B dopo sospensione dei NUC (10).
La presenza di HBV-RNA nel siero di pazienti infetti da HBV è nota dal 1996, ma solo di recente uno studio ha confermato che si tratta di RNA pre-genomico (pgRNA) contenuto in particelle simili a quelle del virione infettivo (11).
Dato che il pgRNA è trascritto direttamente dal cccDNA, anche i livelli di HBV-RNA possono servire come indicatore surrogato della presenza di cccDNA negli epatociti.
Condizione preliminare all’impiego clinico su vasta scala dei nuovi biomarcatori rimane, tuttavia, la verifica rigorosa del loro valore aggiunto rispetto a quelli già in uso da decenni. Negli ultimi anni diversi studi hanno valutato l'utilità clinica di HBcrAg e HBV-RNA nelle diverse fasi dell’infezione e dell’epatite cronica B, ma con risultati non generalizzabili per le piccole dimensioni del campione o per la mancanza di alcune fasi di infezione, nonché per l'inclusione di soggetti con genotipi prevalentemente asiatici o europei (12, 13). Un tentativo di superare tali limiti, è rappresentato dallo studio di Ghany e coll. pubblicato nel 2021 (14), in cui il confronto delle performance diagnostiche di HBV-RNA ed HBcrAg con i marcatori convenzionali di replicazione e malattia è stato condotto su un’ampia casistica di soggetti adulti non trattati con infezione cronica da HBV, sostenuta da genotipi A-D, reclutati in Nord America nel cosiddetto Hepatitis B Research Network (HBRN).
Nella Tabella 2 sono riportati le principali caratteristiche della popolazione studiata ed i risultati dei test eseguiti. In questo studio i soggetti HBeAg positivi erano classificati come immuno-tolleranti se avevano HBV-DNA ≥105 IU/mL e ALT normali (Infezione: 62 casi), immuno-attivi se avevano HBV-DNA ≥105 IU/mL e ALT elevate (Epatite: 284 casi) e indeterminati se avevano HBV-DNA <105 IU/mL con o senza ALT elevate (Non classificabili: 27 casi).
I soggetti HBeAg negativi erano definiti immuno-attivi se avevano HBV-DNA >104 IU/mL e ALT elevate (Epatite: 260 casi), oppure portatori inattivi se avevano HBV-DNA ≤104 IU/mL e ALT normali (Infezione: 274 casi). Un gruppo consistente di soggetti HBeAg negativi, che non rientrava nelle precedenti condizioni, è stato suddiviso in ulteriori 2 categorie: quelli con HBV-DNA ≤104 IU/mL e valori di ALT elevati (Zona Grigia DNA-L: 401 casi) e quelli con HBV-DNA >104 IU/mL e ALT normali (Zona Grigia DNA-H: 43 casi).
Dallo studio si evince come i livelli di HBV-RNA correlino strettamente con quelli di HBV-DNA, anche se inferiori di 1-2 Log (Figura 1a). Interessante però notare come il ratio HBV-DNA/HBV-RNA sia più alto (>1) nei soggetti HBeAg negativi; la ragione rimane ignota, potendo dipendere da un maggior controllo della replicazione virale che il paziente acquisisce dopo la sieroconversione e/o dalla produzione di sequenze di HBV-DNA trascritte da porzioni del genoma di HBV integrate in quello umano. La correlazione tra livelli di HBV-RNA e di qHBsAg è invece più modesta e limitata ai pazienti con epatite cronica HBeAg positiva (Figura 1b), confermando l’interpretazione attuale che nei pazienti HBeAg negativi la fonte principale dell'HBsAg circolante provenga dalla trascrizione dell'HBV-DNA integrato e non del cccDNA (14). Anche i livelli di HBcrAg sono strettamente correlati ai livelli di HBV-DNA, indipendentemente dallo stato dell’HBeAg (Figura 1c).
La correlazione tra HBcrAg e qHBsAg è invece solo moderata nei soggetti HBeAg positivi e debole nei soggetti HBeAg negativi (Figura 1d).
Un fattore interferente emerso nella correlazione tra livelli di HBcrAg e la fase d’infezione è rappresentato dal genotipo di HBV. Tuttavia, in un recente studio multicentrico su un’ampia casistica europea (15) la variabile del genotipo non si è dimostrata tale da inficiare l’accuratezza diagnostica dell’HBcrAg, poiché il cut-off di 3,14 Log U/mL, che distingue i soggetti HBeAg negativi con epatite da quelli con sola infezione, non veniva modificato significativamente dal genotipo virale.
L’inclusione nello studio di Ghany di soggetti in cui non poteva essere definita con certezza la fase d’infezione è un aspetto qualificante del lavoro che ha permesso di valutare l’utilità dei nuovi marcatori nel caratterizzare questi casi. Tuttavia, dai risultati è emerso come la capacità dell'HBV-RNA e dell'HBcrAg di differenziare le fasi dell'HBV tra i soggetti HBeAg negativi fosse ostacolata dalla loro sensibilità limitata: 1,65 Log U/mL per HBV-RNA e 3,0 Log U/mL per HBcrAg. Tali marcatori non hanno aggiunto informazioni sostanziali rispetto a quelli convenzionali, ma nei soggetti HBeAg positivi con HBV-DNA <105 IU/mL, i bassi livelli di HBV-RNA, sovrapponibili a quelli dei pazienti HBeAg negativi con epatite, fanno ritenere che questo gruppo sia in una fase intermedia che prelude alla sieroconversione HBeAg/anti-HBe. Analogamente, i soggetti HBeAg negativi con HBV-DNA ≤104 IU/mL e valori di ALT elevati, bassi livelli di HBV-RNA, di HBcrAg ed un ratio HBV-DNA/HBV-RNA che li rendono simili ai soggetti con sola infezione HBeAg negativa senza epatite, fa ritenere che i livelli elevati di ALT siano dovuti alla concomitanza di un danno epatico metabolico, visto che molti erano in sovrappeso e con segni di steatosi epatica.
Punti chiave
- La classificazione in fasi dell’infezione cronica da HBV, basata sulla presenza o assenza di HBeAg, sui livelli di HBV-DNA e di alanina aminotransferasi (ALT), consente di distinguere i soggetti con sola infezione da quelli con epatite cronica B da trattare.
- Oltre alla misura quantitativa dell’HBsAg, altri due marcatori, l’antigene correlato al core dell'epatite B (HBcrAg) e l’HBV-RNA, potrebbero migliorare la caratterizzazione delle fasi dell'infezione cronica da HBV.
- Studi su ampie casistiche asiatiche, europee e nordamericane, non attribuiscono però ai nuovi marcatori la capacità di fornire informazioni superiori, in parte per la sensibilità limitata: 3,0 Log U/mL per HBcrAg e 1,65 Log U/mL per HBV-RNA.
- In alcuni sottogruppi di incerta classificazione, come HBeAg positivi a bassa viremia e soggetti HBeAg negativi con HBV-DNA ≤104 IU/mL ma ALT elevate, i nuovi marcatori possono migliorare l’interpretazione dei quadri clinici.
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