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Dai contributi presentati all’ultimo congresso di Glasgow...

N.4 2022
Congress Report
HIV Drug Therapy: novità di terapia antiretrovirale - Glasgow, 23-26 ottobre 2022

Giordano Madeddu1, Matteo Augello2, Giulia Marchetti2, Stefano Rusconi3
1SC Malattie Infettive, Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Farmacia, Università degli Studi di Sassari; 2Dipartimento 
di Scienze della Salute- Clinica di Malattie Infettive e Tropicali, Università degli Studi di Milano, ASST Santi Paolo e Carlo
3S.C. Malattie Infettive, Ospedale Civile di Legnano, ASST Ovest Milanese; DIBIC Luigi Sacco, Università degli Studi di Milano

Dai contributi presentati all’ultimo congresso di Glasgow emerge un futuro roseo per il controllo long term dell’infezione da HIV, anche grazie alle nuove terapie, sebbene la strada per l’azzeramento delle nuove infezioni appaia ancora lunga

 

Tra i diversi contributi interessanti dell’ultimo congresso di Glasgow sulla terapia antiretrovirale nell’infezione da HIV, sono stati illustrati dati non tanto su nuovi breakthrough terapeutici ma piuttosto osservazioni nel lungo periodo che hanno confermato la validità di determinati approcci terapeutici.

 

Efficacia della duplice terapia: DTG/3TC

In diverse sessioni sono stati presentati gli studi volti ad analizzare l’efficacia della terapia duplice basata su dolutegravir/lamivudina (DTG/3TC) e su cabotegravir + rilpivirina (CAB+RPV) long acting (LA).

Jean Paul Routy (MO41) ha presentato i risultati a 196 settimane dello studio TANGO nel quale i pazienti (n=298) che avevano continuato la terapia triplice TAF-based fino alla settimana 144 sono stati switchati a DTG/3TC (late switch, LS) e di quelli (n=369) che sono stati switchati al giorno 1 (early switch, ES). Questa fase di estensione non prevede confronto tra i due bracci. I risultati virologici mostrano come alla settimana 196 il 93% dei pazienti LS e l’83% degli ES mantengono una soppressione virologica (Figura 1).

Dopo la settimana 144 nessun paziente nel gruppo LS ha presentato criteri per la definizione di ritiro virologico confermato (CVW) e solo uno del gruppo ES (<1%). Nessuna resistenza è stata riportata al fallimento.

La safety del regime 2DR DTG/3TC è stata confermata a 4 anni anche riguardo a incremento di peso e profilo lipidico. Gli autori concludono come DTG/3TC rappresenti una opzione terapeutica robusta e ben tollerata anche in un lungo follow-up.

Nella stessa sessione congressuale, Linos Vandekerckhove ha presentato un interessante studio sull’impatto dello switch a DTG/3TC sul reservoir virale studiato in termini di DNA totale ed intatto. Lo studio RUMBA ha previsto l’arruolamento di 134 pazienti con stabile viro-soppressione che sono stati randomizzati a switch a DTG/3TC (n=89) o a continuare o iniziare B/F/TAF (n=45) (MO42). Alla settimana 48 si è osservata una riduzione simile di HIV-DNA totale ma anche di DNA intatto nei due bracci di trattamento dimostrando la non inferiorità in termini di impatto sul reservoir virale delle 2DR rispetto alla 3DR. Non ci sono quindi evidenze che lo switch a DTG/3TC sia associato ad un incremento del reservoir virale rispetto a continuare o iniziare la 3DR basata su BIC. Ulteriori risultati a 144 settimane sono in corso di analisi per valutare se il trend osservato a 48 settimane si confermi su un più lungo follow-up.

 

CAB + RPV LA

Lavori riguardanti le 2DR long acting (LA) basate su cabotegravir + rilpivirina sono stati presentati nella sessione dei late breaker. Celia Jonsson-Oldenbuettel ha presentato i dati a 6 mesi del programma di implementazione nella real life della terapia LA iniettabile con CAB+RPV (CARLOS cohort) in Germania (O43). Duecento pazienti avevano raggiunto la quarta somministrazione di terapia ed erano quindi valutabili per l’efficacia a 6 mesi. La maggior parte (84.7%) aveva iniziato con la oral lead in (OLI) e il 97.2% delle iniezioni sono avvenute entro la finestra dei +/- 7 giorni o prima.

L’oral bridging è stato necessario in 6 pazienti.

A 6 mesi l’89.5% ha mantenuto la soppressione virologica con solo lo 0.5% di pazienti in fallimento virologico (Figura 2). Solo 6 (2.6%) pazienti hanno sospeso la terapia a causa delle reazioni nel sito di iniezione. La soddisfazione del paziente, valutata con HIV-TSQ, è aumentata significativamente.

Chloe Orkin ha presentato una ulteriore analisi dei predittori di fallimento virologico confermato (CVF) della terapia con CAB + RPV LA eseguita sui dati pooled di 1651 partecipanti agli studi registrativi (di cui 1431 con dati completi) (O44). I fattori predittivi di fallimento della strategia con LA sono stati valutati attraverso l’utilizzo di due modelli di regressione logistica di Poisson. Dopo 4291 anni/persona di follow-up l’incidenza di fallimento virologico confermato (CVF) è stata di 0.54 anni anni/persona. L’1.4% (23/1431) dei partecipanti ha mostrato un CVF. La presenza di mutazioni per RPV al basale, il sottotipo AI/A6 e il BMI ≥30 kg/mq erano predittivi di CVF e la presenza di almeno due fattori era associata a un significativo aumento del rischio.

Le basse concentrazioni di CAB+RPV (≤1° quartile) erano, inoltre, predittive di CVF in un modello separato ottenuto dai valori di concentrazione disponibili dopo il baseline. In questo modello non erano più significativi predittori di CVF il BMI ≥30 kg/mq, probabilmente perché correlato alla farmacocinetica di CAB, e le mutazioni di resistenza per INSTI o CAB al basale. La presenza di 3 o più fattori includenti le basse concentrazioni di CAB + RPV (≤1° quartile) erano associati a un significativo aumento del rischio di CVF. I dati presentati sono di estrema utilità nel supportare il clinico nella selezione dei migliori candidati alla terapia con CAB + RPV LA e nell’ottimizzare la sua riuscita nella real life.

 

Inizio rapido della ART

La sessione “The evidence for same day ARV therapy” ha fornito una panoramica esauriente ed aggiornata sulle evidenze favorevoli e contrarie all’approccio same day dell’inizio della terapia antiretrovirale in pazienti con nuova diagnosi di infezione da HIV, sia primaria che cronica, da un punto di vista non solo prettamente biologico, ma anche clinico e sociale.

L’inizio precoce della terapia fornisce un’opportunità unica di modificare gli esiti clinici dell’infezione da HIV. Ogni mese di ritardo nell’inizio della terapia riduce la probabilità di raggiungere conte di linfociti T CD4+ >900 mmc di circa il 10% (Le T et al. N Engl J Med. 2013) Parallelamente, un inizio precoce della terapia aumenta notevolmente la probabilità di raggiungere una normalizzazione del rapporto CD4/CD8 (Thornhill J et al. J Acquir Immune Defic Syndr. 2016) che è a sua volta strettamente correlato alle comorbidità non-AIDS (Serrano-Villar S et al. PlosOne. 2014). L’inizio della terapia ART entro due settimane dall’acquisizione dell’infezione è inoltre in grado di ridurre il reservoir di HIV (Shelton EM et al, AIDS Rev. 2020) fornendo una potenziale opportunità per futuri approcci di eradicazione dell’infezione da HIV.

Alla luce di tali evidenze, le linee guida correnti raccomandano di offrire la same day ART a tutte le persone con nuova diagnosi di infezione da HIV che siano intenzionate a farlo, purché il paziente si senta effettivamente “pronto” e non ci siano controindicazioni cliniche. Le stesse affermano però che ritardare l’inizio possa avere alcuni benefici (Figura 3).

Un contributo originale proveniente dalla Cina ha riportato i risultati di un recente trial clinico randomizzato controllato, in cui sono stati arruolati 258 MSM entro 14 giorni dalla diagnosi di infezione da HIV e randomizzati ad iniziare la terapia ART con TDF+3TC+EFV oppure B/F/TAF. Quest’ultimo regime ha dimostrato di avere una maggiore efficacia nell’indurre soppressione virologica (HIV-RNA <50 copie/ml) alla 24° settimana, confermandosi come un regime efficace e sicuro nel contesto dell’approccio rapid ART (Lv S et al. O24).

I risultati di una coorte osservazionale di 536 individui in Guatemala intenta a valutare gli esiti clinici dell’inizio precoce della terapia antiretrovirale (entro 7 giorni dalla diagnosi) hanno mostrato come tale approccio sia associato con una più alta prevalenza di soppressione virologica (HIV-RNA <200 copie/ml) a 12 mesi (Marroquìn H et al. PO75).

Sono stati, inoltre, presentati i PROs (patient-reported outcomes) alla 48° settimana dello studio STAT, che ha precedentemente dimostrato la fattibilità, l’efficacia e la sicurezza dell’impiego della duplice terapia DTG/3TC in un contesto test-and-treat (Rolle P et al. AIDS. 2021). Tali risultati indicano che l’inizio precoce della terapia antiretrovirale con DTG/3TC è in grado di indurre un rapido e duraturo miglioramento dei sintomi comunemente associati all’infezione da HIV o al suo trattamento, suggerendo un’efficacia di tale approccio anche relativamente alla qualità della vita (Oglesby A et al, P077).

A fronte degli indiscutibili vantaggi dell’inizio precoce della terapia antiretrovirale emersi anche nel corso del congresso, il presupposto per attuare tale approccio, ovvero la diagnosi precoce dell’infezione da HIV, resta ancora oggi una sfida anche in Italia, dove ad oggi quasi il 60% dei pazienti giungono ad una prima diagnosi in fase tardiva di infezione.

 

Studi di real life con doravirina

Ampio spazio è stato dedicato nel corso del congresso agli studi di real life, ad esempio per quanto riguarda doravirina (DOR). Nello studio di coorte DRIVE-REAL sono stati analizzati record clinici di 300 persone con infezione da HIV (PLWH), dei quali 288 drug-experienced e 12 ART-naive (O'Halloran C et al. P126). Al baseline, l'83% erano di genere maschile, il 44% avevano ≥50 anni, e il 65% erano di etnia caucasica. Per i PLWH di cui era disponibile il dato di indice di massa corporea (BMI), un po' più della metà (55%, n. 95) mostrava sovrappeso o obesità (BMI ≥24.9). Al baseline, l'HIV-RNA era <50 copie/ml nel 87%, il 15% (n. 44) presentava mutazioni di resistenza agli antiretrovirali, dei quali il 20% (n. 9) aveva mutazioni maggiori agli NNRTI ed il 30% (n. 13) mutazioni maggiori per gli NRTI. Le PLWH della coorte presentavano co-morbosità nel 65% e la presenza di farmaci concomitanti nel 70% (n. 210). La maggioranza delle PLWH era ancora in terapia con DOR a 6 mesi dall’arruolamento nella coorte (94%, n=283/300). I dati virologici a 6 mesi di terapia erano disponibili in 266/300 PLWH: il 95% (n. 253) dei soggetti presentava HIV-RNA <50 copie/ml (Figura 4).

Un’analoga esperienza è stata presentata dalla coorte VICDOR, che ha mostrato i dati di uno studio retrospettivo in PLWH passate ad un regime DOR-based e che avevano un follow-up di almeno 12 mesi (Rockstroh J et al. P028). L’end-point primario era il successo virologico a 12 mesi dall’inizio di DOR. Questo studio di coorte ha incluso 97 PLWH, tra i quali non si sono osservati fallimenti virologici. Tra i 61 soggetti con un valore di HIV-RNA a 12 mesi il 100% è rimasto virologicamente soppresso. L’aumento medio dei linfociti CD4 è stato di 13.48 cellule/mmc dal baseline al mese 12. Tra le PLWH passate al regime DOR/3TC/TDF, i livelli di colesterolo LDL si sono ridotti con una mediana di ‐5.5 mg/dL ed il peso è diminuito di una media di -0.89 kg tra il baseline e il mese 12. Tra i soggetti che sono passati a DOR/3TC/TDF per migliorare l’aspetto dell’aumento di peso, questo parametro ha subito la riduzione media di -2.54 kg dal baseline al mese 12.

I fattori associati alla perdita di peso cambiando terapia da dolutegravir (DTG)-based a DOR-based sono stati analizzati con riferimento a 3 RCT (Orkin C et al. P153). Sono stati considerati 3 studi: DRIVE-FORWARD (NCT02275780) e DRIVE-AHEAD (NCT02403674), studi randomizzati, in doppio-cieco, di non-inferiorità in PLWH naive e DRIVE-SHIFT (NCT02397096), studio randomizzato, in aperto, di non-inferiorità in PLWH virologicamente soppressi in un regime antiretrovirale stabile da ≥6 mesi. La perdita di peso, o il peso stabile (variazione <5%), è stata rilevata nella maggioranza dei soggetti che continua DOR o è passata a DOR. Tra le PLWH naive nessuno dei fattori analizzati ha mostrato un’associazione statistica con perdita di peso o peso stabile. Tra i soggetti con successo virologico e passati alla terapia con DOR nei 3 RCT i fattori associati a perdita di peso o peso stabile sono stati genere femminile, etnia non-nera ed il passaggio dai PI-boosted (Figura 5).

 

Studi di real life con DTG/3TC

Un ulteriore studio di campo, che include sia RCT che osservazioni di coorte, ha considerato l’efficacia virologica della 2DR DTG/3TC (Kabra M et al. P08). Il tema è di importanza fondamentale visto l’incremento di utilizzo di questa strategia sia nei soggetti naive che nello switch. La proporzione di PLWH con la mutazione M184V/I nel genotipo storico con fallimento virologico stimato è basso alle settimane 24, 48 e 96 nelle esperienze di real life e nei RCT. Negli studi di vita reale il fallimento ai 3 tempi è stato: 3/186 (1.61%), 7/237 (2.95%), e 7/186 (3.76%), rispettivamente. Nei RCT le stime di fallimento sono state: 0/38 (0%), 2/93 (2.15%), e 0/34 (0%), rispettivamente. Dall’analisi non emergevano mutazioni correlate alla resistenza tra i soggetti con fallimento virologico. I risultati di questa metanalisi rassicurano gli infettivologi sull’outcome della terapia con DTG/3TC nei PLWH con storia terapeutica incompleta o nelle situazioni in cui la mutazione M184V/I sia stata misconosciuta.

 

Ruolo di TDF nella SARS-CoV-2

Il congresso ha fornito anche alcuni dati relativi al controverso ruolo protettivo della terapia antiretrovirale, in particolare di tenofovir, nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2 e delle forme severe di COVID-19 nelle persone con HIV, che è stato confermato da alcuni studi di coorte (Del Amo J et al. Ann Intern Med. 2020), ma non da altri (Nomah DK et al. J Antimicrob Chemoter. 2022).

Josep M. Miró ha presentato i risultati di uno studio condotto a Barcellona, volto a individuare la prevalenza e i fattori di rischio per l’infezione da SARS-CoV-2 e il ruolo della terapia in una coorte di 4400 persone con HIV. I fattori di rischio indipendenti sono risultati essere la giovane età, l’essere femmina o MSM e la sifilide. Né la terapia in sé né l’uso di tenofovir (TDF o TAF) sono risultati avere un effetto protettivo.

 

Nuovi anticorpi neutralizzanti

Nel contesto della sessione Novel therapeutics, dedicata agli approcci innovativi al trattamento dell’infezione da HIV, sono stati presentati i risultati dello studio BANNER, uno studio multicentrico randomizzato intento a valutare, in pazienti naive con infezione da HIV, l’efficacia virologica, la farmacocinetica e la sicurezza di VH3810109, un bNAb (broadly neutralizing antibody) specificamente diretto contro CD4 (Leone P et al. O34).

Una singola infusione endovenosa di questo bNAb ha mostrato, a fronte di un buon profilo di sicurezza, una robusta efficacia antivirale sia alla dose di 40 mg/kg che a quella di 4 mg/kg (Figura 6).

Complessivamente, dai dati presentati al congresso di Glasgow emerge un futuro roseo per il controllo a lungo termine dell’infezione da HIV, anche grazie alle terapie 2DR ed ai farmaci long acting, sebbene la strada per l’eradicazione e l’azzeramento delle nuove infezioni appaia ancora lunga e accidentata.

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