La possibilità di pubblicare le ricerche scientifiche in Open Access digitale (OA) ne consente l’accesso libero a tutti, differenziandosi dalla pubblicazione classica degli editori accademici specializzati che detengono diritti economici sul materiale pubblicato. Insieme all’aumento esponenziale di valide pubblicazioni, l’OA ha sfortunatamente facilitato la diffusione di un’editoria parallela mistificante che minaccia ora la qualità e l’affidabilità della ricerca scientifica. Si tratta della cosiddetta editoria predatoria, termine col quale si definiscono riviste che avvalendosi della formula virtuosa dell’OA si pongono come alternativa all’editoria accademica; esibiscono un proprio website simile a quello delle riviste scientifiche legittime ma in verità sono interessate solo al business, cioè al consistente compenso che richiedono agli autori per pubblicare.
È regola scientifica che le pubblicazioni vengano prima sottomesse dall’editore alla valutazione mediante peer review, cioè al processo di revisione fra pari. Le ricerche sono inviate al giudizio ed all’approvazione di uno o più esperti volontari ed anonimi, scelti tra più qualificati nello stesso settore disciplinare del potenziale autore. La finalità è valutare l’importanza del lavoro presentato per la pubblicazione e verificarne la rigorosità delle metodiche e dei risultati, a beneficio e sicurezza degli studiosi che lo integreranno nel proprio archivio di ricerca; oltre ad un filtro scientifico la revisione paritaria assicura il controllo di artefatti o inganni scientifici che porterebbero a false informazioni.
Le riviste predatorie pubblicano tutta o quasi la sorgente che ricevono senza il controllo preliminare del referaggio o con un referaggio limitato ed insufficiente, che fa spesso capo a comitati editoriali composti da membri sconosciuti agli esperti; ne consegue che le pubblicazioni sono carenti per qualità e attendibilità scientifica, e non escludono plagio o inganno. Gli editori predatori si muovono in modo spregiudicato usando strategie aggressive, poco trasparenti e talvolta fraudolente. Come esca possono imitare il nome di riviste mediche famose, ad esempio Journal of Advances in Internal Medicine o Annals of Medical and Biomedical Sciences, facilmente confuse con il prestigioso Annals of Internal Medicine. Allettano con la promessa di un rapido processo editoriale – entro pochi giorni, anche entro poche ore – che rende da sola impossibile un’accurata revisione. Sollecitano per mail in modo petulante la comunità scientifica ad entrare nei loro board editoriali e ad inviare pubblicazioni o review, a pagamento (s’intende) spesso di circa 1800 dollari. L’ovvia penalità è che l’editoria predatoria non è indicizzata in data-base affidabili come Medline, per cui molti studiosi ne diffidano e non ne citano le pubblicazioni che finiscono per rappresentare ricerca non utilizzata e sprecata.
Nel processo di globalizzazione della scienza, le pubblicazioni predatorie sono in continua crescita; sono conniventi i ricercatori che vi si affidano ed essi stessi predatori? Per molti inesperti ricercatori nei paesi in via di sviluppo non è così. Le motivazioni e l’etica degli editori e degli utenti sono diverse: i primi sono interessati solo al business, i secondi sono spinti a diffondere ad ogni costo le loro ricerche sulla base dall’aforisma pubblica o muori, che riassume la sollecitazione a pubblicare regolarmente per rimanere competitivi e fare carriera accademica. È pertanto difficile criminalizzare i molti giovani di paesi in via di sviluppo come Cina e India, che si rivolgono spesso alle riviste predatorie vedendo in loro lo strumento per garantirsi la sopravvivenza scientifica, in contesti che hanno regole proprie diverse da quelle della comunità accademiche dell’occidente; tanto più che un’ulteriore attenuante è spesso la percezione di inferiorità sociale che crea il pregiudizio di scarsa considerazione da parte delle prestigiose riviste occidentali.
Tuttavia anche nel mondo della ricerca occidentale non sono pochi i ricercatori che si affidano a riviste predatorie. Un’analisi su 46.000 ricercatori in carriera nel mondo universitario italiano, pubblicata su Research Policy nel 2019, ha rivelato che circa il 5% di loro aveva pubblicato su riviste incluse nelle liste dei giornali predatori (Bagues M, Sylos-Labini M, Zinovyeva N.Research Policy. 2019;48 46-77). Essi eludono il setaccio del referaggio, cercando nondimeno di assicurarsi l’adeguato volume di pubblicazioni, che consente la progressione di carriera, in accordo con i criteri accademici di valutazione correnti che privilegiano la quantità sulla qualità; consapevoli o meno, essi sono complici degli editori predatori e fraudolenti nei confronti della comunità dei ricercatori.
L’Open Access è meritorio perché rende la ricerca medica accessibile senza costo ai ricercatori di tutto mondo, ma la formula è vulnerabile perché indifesa dall’emergenza di un’editoria predatoria che pubblica senza regole. Il risultato è la disseminazione di dati di scarso valore che stanno compromettendo i principi di merito su cui si regge la ricerca. È improbabile che la minaccia scompaia finché come criterio per l’avanzamento di carriera di uno studioso le università utilizzeranno il numero delle sue pubblicazioni piuttosto che il loro valore scientifico individuale; i ricercatori, e gli organi universitari giudicanti, possono tuttavia cercare di cautelarsi visitando il website che cataloga editori e giornali predatori creato da Jeffrey Beall, professore associato di Scienze Bibliotecarie all’Università del Colorado (https://beallslist.net/).