Il numero di giugno di Gastroenterology ospita un interessante lavoro sviluppato dall’azienda Canadese titolare di molecole NAP in collaborazione con l’Università tedesca di Essen su pazienti Moldavi (1). Questo esempio di globalizzazione scientifica apre una nuova prospettiva di trattamento dell’epatite cronica da HBV, dettagliatamente discussa nel commento dei francesi Durantel e Asselah disponibile nello stesso numero della rivista, dedicato a luci ed ombre dello studio pubblicato (2).
La principale ombra è legata ad un analogo ed altrettanto promettente studio di combinazione di NAP e interferone in pazienti con coinfezione HDV pubblicato nel 2017 dallo stesso gruppo di studio, al quale non hanno fatto seguito studi confermativi (3-4).
Biologia del virus B e future opzioni terapeutiche
Il disegno dello studio di Bazinet e coll. è alquanto complesso ed il suo razionale richiede una premessa d’ordine generale, riferita alla biologia del virus B ed alle attuali e future opzioni terapeutiche. Il ciclo replicativo del virus ed i principali punti d’attacco della terapia antivirale sono riassunti nella figura 1. Nella porzione A sono sintetizzate le attuali opzioni terapeutiche, basale sull’uso di analoghi nucleosidici (NA) o interferone. I primi si sono dimostrati altamente efficaci nell’inibire la transcriptasi inversa ed ottenere la soppressione prolungata del virus (HBV DNA negativo) a seguito di una terapia a tempo indeterminato nella stragrande maggioranza dei casi, in quanto persistono l’HBsAg serico ed il cccDNA intraepatico. Nel contempo l’interferone è capace d’indurre un effetto curativo relativo in una minima percentuale di soggetti, nei quali l’effetto immunomodulante induce una perdita dell’HBsAg persistente dopo la sospensione del farmaco, senza annullare il cccDNA intraepatico.
Nella porzione B sono riassunti, invece, i diversi punti d’attacco delle terapie in corso di sviluppo, finalizzate ad ottenere non solo la soppressione, bensì la cura assoluta (perdita dell’HBsAg e del cccDNA) o perlomeno relativa (perdita dell’HBsAg) dell’infezione dopo un ciclo terapeutico a tempo limitato.
Nel dettaglio i punti di attacco diversi dal blocco della polimerasi, riguardano l’inibizione:
- dell’entry, nell’ipotesi che il blocco dell’infezione di epatociti naive possa portare alla clearance di quelli infetti da parte del sistema immunitario; questa opzione coinvolge potenzialmente sia HBV che HDV
- dell’espressione di proteine virali, tramite piccoli RNA interferenti (siRNA)
- del cccDNA (obiettivo principe, benché ancora lontano, della cura assoluta)
- della proteina core, coinvolta non solo come componente del nucleocapside, ma anche in numerose fasi del ciclo virale
- della dismissione dell’HBsAg dagli epatociti infetti, tramite polimeri di nucleoacidi (NAPs), argomento dello studio analizzato. Questi oligonucleotidi sintetici legherebbero l’HBsAg e ne impedirebbero la dismissione, tramite un meccanismo non ancora del tutto definito, limitando sia HBV che HDV.
Infine il capitolo degli immunomodulatori ad azione attiva sulla risposta innata o adattativa (compresi anti-PD1 e CAR-T mediati dalla più recente terapia oncologica) o passiva, conseguente alla sospensione degli analoghi dopo lunga soppressione (5).
Ne consegue che la prospettiva di una futura terapia curativa dovrà basarsi su un’ipotesi di trattamento multi-target che combini la soppressione, con l’inibizione delle proteine virali e/o l’inibizione dell’entry o della dismissione e l’attivazione o il ripristino della clearance immunologica.
Disegno e risultati dello studio con molecole NAP
Il lavoro di Bazinet e coll. ha appunto analizzato i risultati dell’aggiunta di due NAPs (REP-2139-Mg ed il suo analogo REP-2165-Mg, a più rapida clearance, entrambi ad uso endovenoso al dosaggio di 250 mg ogni settimana, ma con possibili prospettive future di somministrazione sottocutanea) alla combinazione di tenofovir 300 mg/die/os e peg-IFN 180 mcg/sc/settimana (TP).
Il complesso disegno dello studio, riportato nella figura 2, è sintetizzabile in 6 mesi di arruolamento (40 pazienti trattati con tenofovir), successivi 6 mesi di confronto tra 20 pazienti TP senza NAPs e 20 soggetti trattati con TP+NAPs (10 REP- 2139 e 10 REP-2165), altri 6 mesi di cross-over dei controlli alla terapia TP+NAPs. Infine i 20 pazienti trattati ab initio con i NAPs terminavano un anno di terapia complessiva ed altrettanto facevano i controlli 6 mesi più tardi, un anno dopo il cross-over. Seguiva un follow-up di un anno in tutti i pazienti, dopo la completa sospensione delle terapie antivirali.
I 40 pazienti erano tutti antiHBe-positivi, genotipo D nel 90% dei casi, non cirrotici e con fibrosi lieve-moderata (fibroscan < 9 kPa nel 82.5% dei casi). L’obiettivo primario della terapia, definito curativo ed individuato nella perdita dell’HBsAg con comparsa di antiHBs a titolo protettivo al termine del follow-up, veniva raggiunto in circa il 50% dei casi (Figura 3). Gli effetti collaterali riportati risultavano non significativi ed in accordo con le manifestazioni correlate ai diversi farmaci utilizzati, così come la soppressione virale. Faceva eccezione una recrudescenza epatitica in corso di terapia nel 95% dei casi, più frequente nel gruppo trattato con NAPs rispetto ai controlli, che però la manifestavano dopo il cross-over. L’evento veniva quindi correlato alla riduzione dell’HBsAg ed alla risposta immunologica indotta dall’interferone, senza però un riscontro istologico. Un solo caso presentava una ripresa virale accompagnata da scompenso epatico alla 12a settimana di follow-up, trattato efficacemente con la terapia di supporto.
I dati dello studio appaiono sicuramente promettenti ed aprono interessanti prospettive di terapie multi-target finalizzate alla cura e non solo alla soppressione dell’infezione cronica da HBV. In tal senso si spiega la combinazione di un braccio soppressivo virale (tenofovir), soppressivo proteico (NAPs) ed infine immunomodulante (peg-IFN). Rimangono, però, alcuni aspetti dibattuti, a cominciare dalle scelta di una triplice terapia, senza la preliminare valutazione della duplice (antivirale + NAPs) ed in particolare l’interpretazione dei picchi epatitici, attribuita dagli autori prevalentemente alla risposta immunitaria (senza conferma istologica), ma non escludibile, ad unanime parere di chi scrive e dei commentatori francesi, all’accumulo di proteine intraepatocitarie, il cui effetto citotossico e oncogenetico è noto da tempo (5).
In tal senso preoccupa il potenziale risvolto clinico in termini di scompenso in pazienti con fibrosi più avanzata e/o cirrotici ed in caso di condizione virologica caratterizzata da un’elevata percentuale di epatociti infetti (elevate viremie basali, HBeAg-positivi, immunotolleranti, genotipi non-D).
Conclusioni
Questo lavoro appare di sicuro interesse per i risultati riportati e per la prospettiva di una nuova strategia terapeutica con finalità curative, basata su trattamenti multi-target non solo soppressivi. Richiederà, però, la conferma in studi di maggiori dimensioni ed in particolare la dimostrazione di una tolleranza ai NAPs indipendente dall’accumulo intraepatocitario di proteine la cui dismissione viene inibita.
Bibliografia
- Bazinet M, Pântea V, Placinta G, et al. Safety and efficacy of 48 weeks REP 2139 or REP 2165, tenofovir disoproxil, and pegylated interferon alfa-2a in patients with chronic hbv infection naïve to nucleos(t)ide therapy. Gastroenterology. 2020; 158:2180-2194.
- Durantel D, Asselah T. Nucleic acid polymers are effective in targeting hepatitis b surface antigen, but more trials are needed. Gastroenterology. 2020; 158:2051-2054. Gastroenterology.
- Spyrou E, Smith CI, Ghany MG. Curr ent status of therapy and future therapies. Gastroenterol Clin N Am 2020; 49:215-238.
- Lee HM, Banini BA. Updates on chronic HBV: current challenges and future goals. Curr Treat Options Gastroenterol 2019; 17:271-291.
- Marzano A, Marengo A, David E, Rizzetto M. Hepatitis B therapy, hepatocellular carcinoma and HBsAg mutants. Dig Liv Dis 2013; 45:525-526.