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La selezione di articoli della letteratura scientifica per un...

N.3 2024
Notizie flash
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a cura del Comitato di Redazione

La selezione di articoli della letteratura scientifica per un aggiornamento sulle tematiche di interesse infettivologico

 

Impatto sull’incidenza di STI di Doxy-PEP in donne in profilassi pre-esposizione per HIV. Doxycycline Prophylaxis to Prevent Sexually Transmitted Infections in Women. J Stewart, et al. N Engl J Med. 2023. doi: 10.1056/NEJMoa2304007

Studio randomizzato condotto in Kenya in una popolazione di donne cisgender in HIV-PreP. 224 donne assegnate al braccio Doxy-PEP (assunzione di 200mg di doxiciclina entro 72 ore da un rapporto condomless). 225 donne nel braccio standard of care per STI (SOC). Nel periodo di osservazione sono state diagnosticate 50 STI nel braccio Doxy-PEP (25.1/py) e 59 nel braccio SOC (29.0/py). L’intervento profilattico non ha dimostrato di ridurre in modo significativo l’incidenza di STI (RR 0.88%). Tra le infezioni diagnosticate: 85 da Chlamydia (78%), 31 da Neisseria, 1 da T. pallidum. Nei ceppi testati, la resistenza di N. gonorrhoeae è risultata pari al 100%. Nel gruppo Doxy-PEP, su 50 donne è stata effettuato un dosaggio della concentrazione di doxiciclina nei capelli. In base alle concentrazioni riscontrate si può stimare che solo il 44% delle donne ha assunto correttamente il farmaco. In compenso anche il 6.6% nel braccio SOC mostrava la presenza di doxiciclina, a indicare verosimilmente una tendenza all’autoprescrizione che giustifica le prevalenze di resistenza al farmaco. I risultati ricalcano in parte quelli dei primi risultati degli studi su HIV-Prep nelle donne, dove la scarsa compliance risultava determinante nell’outcome. A ribadire la necessità di ulteriori studi analoghi, il fatto che le STI nelle donne hanno complicanze e sequele maggiori, con rischi elevati anche per il feto.


Micofenolato nell’epatite autoimmune tipo1. Lack of complete biochemical response in autoimmune hepatitis leads to adverse outcome: First report of the IAIHG retrospective registry. Slooter CD, et al. Hepatology. 2024. doi: 10.1097/HEP.0000000000000589. An open-label randomised-controlled trial of azathioprine vs. mycophenolate mofetil for the induction of remission in treatment-naive autoimmune hepatitis. Snijders RJALM, et al. J Hepatol. 2024. doi: 10.1016/j.jhep.2023.11.032. Mycophenolate Mofetil in a reproductive age patient cohort: Maternal Fetal Medicine point of view. Zullo F, et al. J Hepatol. 2024. doi: 10.1016/j.jhep.2024.06.010.

Nell’epatite autoimmune tipo 1, Slooter e coll. hanno dimostrato che una risposta biochimica incompleta dopo 6 mesi di terapia immunosoppressiva standard (cortisone+azatioprina) è fattore prognostico negativo che può corrispondere a progressione della malattia epatica. Nella terapia complementare con prednisolone (PRE), il micofenolato (MMF) viene proposto come alternativa più valida e meno gravativa dell’azatioprina (AZT) nell’indurre la remissione dell’epatite autoimmune. Nello studio di Snijders e coll., 39 di 70 pazienti (età media 57,9 anni, 72,9% donne) sono stati trattati con MMF+PRE e 31 con AZT e PRE. Dopo sei mesi di terapia, il 56,4% dei primi ed il 29% dei secondi hanno normalizzato le transaminasi ed il livello delle immunoglobuline IgG (p=0,022). Non vi sono state reazioni avverse severe con MMF, che hanno avuto luogo invece in quattro pazienti trattati con AZT. Tuttavia, viene sollevato il problema che MMF è potenzialmente teratogenico ed a rischio di provocare malformazioni congenite del feto ed aborto spontaneo (Zullo e coll.) Nelle donne che prevedono una gravidanza, è necessario accompagnare la proposta di MMF con un’adeguata informazione e valutazione del rischio per il feto e la decisione di trattamento con il farmaco va condivisa. Parimenti, va ribadita la necessità di una efficace contraccezione nelle donne in età riproduttiva cui viene prescritto MMF.


Qual è il potenziale pandemico dell’influenza aviaria? What is the pandemic potential of avian influenza A(H5N1)? Lancet Infect Dis. 2024 doi: 10.1016/S1473-3099(24)00238-X.

Recentemente, le autorità nazionali vietnamite hanno notificato a WHO un caso (deceduto) di infezione causato da virus altamente patogeno dell’influenza aviaria HPAI A(H5N1) e, in Texas, è stato identificato un secondo caso (paucisintomatico) non correlato con quello vietnamita. Il caso texano si è manifestato, nel contesto di un outbreak di aviaria in diverse fattorie statunitensi, in gatti ed uccelli, mentre non vi è stata alcuna trasmissione interumana. Dalla sua scoperta (Cina 1996) HPAI A(H5N1) è stato associato ad outbreak in uccelli sia selvatici che di allevamento con molti milioni di animali morti. Attualmente, l’infezione si configura come una zoonosi che può contagiare anche altre specie animali (40 specie di mammiferi!). Il virus della influenza aviaria può essere trasmesso e replicarsi nell’uomo (ciò richiede un reassortment con il virus dell’influenza umana). Nessun caso umano ha dato origine a cluster epidemici, ma l’estensione delle specie animali colpite e l’allargamento delle aree geografiche interessate, aumenta esponenzialmente il rischio che la temuta pandemia da influenza aviaria colpisca l’uomo. L’editoriale è una occasione per ricordare e rilanciare l’importanza della messa in atto ed implementazione di modalità di prevenzione e di tutto ciò che è necessario per evitare ad ogni costo che i casi sporadici contagino altre persone. L’articolo conclude con un rinnovato invito all’attenta sorveglianza, all’accurato studio virologico dei virus identificati e soprattutto allo scambio di informazioni tempestivo e completo.

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