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L’infezione da virus dell’epatite D: dalla scoperta alle...

L’orizzonte biologico dell’HDV si è allargato alla scala...

N.1 2022
Editoriale
L’infezione da virus dell’epatite D: dalla scoperta alle sfide attuali

Mario Rizzetto
Professore Onorario di Gastroenterologia, Università di Torino
 

L’orizzonte biologico dell’HDV si è allargato alla scala animale con l’identificazione di sequenze HDV-like negli uccelli, rettili, pesci, roditori, invertebrati. Nel prossimo futuro lo scenario del virus è destinato a cambiare per l’impatto della vaccinazione contro HBV e per l’avvento di nuovi farmaci nella terapia dell’epatite cronica D

 

L’inattesa osservazione nel 1977 dell’antigene delta, reattività immunologica interpretata inizialmente come componente del virus dell’epatite B (HBV), ha consentito già nel 1980 di identificare il virus dell’epatite D (HDV), un nuovo agente patogeno epatotropo che è difettivo e richiede per il suo ciclo vitale funzioni biologiche dell’HBV.

La novità dell’HDV ha subito coinvolto i virologi, che negli anni successivi ne identificano proprietà uniche in virologia umana, quali la replicazione a rolling circle, modello ignoto ai mammiferi e noto solo nei viroidi del mondo vegetale, la sintesi non-autonoma mediata dalle RNA polimerasi della cellula, la presenza nel genoma di un ribozima, cioè di un segmento di RNA capace di interventi catalitici oltre che depositario dell’informazione genetica.

L’HDV continua tuttora a sorprendere. Il suo orizzonte biologico si è allargato a tutta la scala animale con l’identificazione dal 2018 di sequenze genomiche simili a quelle dell’HDV RNA umano (gli HDV-like) negli uccelli, rettili, pesci, roditori, invertebrati ma senza il corrispettivo di un hepadnavirus; i nuovi dati dimostrano che RNA HDV-simili sono esistiti nell’intera storia evolutiva dei Metazoa, scardinando il presupposto “storico” che l’HDV sia presente solo nell’uomo e co-evoluto con l’HBV che ne condiziona l’epatotropismo. Gli HDV-like suscitano importanti domande sull’origine dell’HDV umano e la natura della sua relazione con HBV. Un interrogativo cruciale è come esso sia evoluto; un’ipotesi recente suggerisce che i virus HDV-like sono rimbalzati fra differenti specie di mammiferi attraverso un insolito processo che richiede il parassitismo successivo di virus evolutivamente indipendenti. Si pone ora anche il dilemma clinico se virus HDV-like possano essere responsabili di malattie extraepatiche di origine finora ignota in associazione ad altri virus maturi non riconosciuti che provvedono aiuto biologico complementare.

Malgrado l’impatto patogeno dell’HDV fosse evidente sin dalla scoperta dell’antigene delta, l’interesse clinico generale per l’epatite D è stato all’inizio tiepido. La novità fu prima accolta da perplessità e poi da curiosità più che da impegno medico; dall’analisi degli anni 1980 la malattia era ritenuta una nicchia medica limitata all’area mediterranea ed alle comunità dei tossicodipendenti del mondo industrializzato. La disponibilità generale negli anni 1990 di test diagnostici ha dimostrato invece che l’infezione era ubiquitaria, ma l’epatite D veniva vissuta nella medicina occidentale come una malattia di lontano interesse e limitata ai paesi poveri del mondo; i dati di prevalenza nei paesi in via di sviluppo risultavano spesso bizzarri con considerevoli variazioni geografiche, non essendo mai state condotte analisi sistematiche dell’infezione ma solo studi parcellari, non rappresentativi dell’impatto generale dell’epatite D. Varie le motivazioni delle discrepanze, fra cui la mancanza di risorse e background metodologico, ma una delle più cospicue è stata la mancata attenzione delle Agenzie internazionali della Sanità; il primo report concreto del WHO sull’epatite D nel mondo risale alla metà degli anni 2010.

L’impegno globale dell’HDV derivato da 3 metanalisi della casistica degli ultimi 30 anni è invece cospicuo, comprendendo un numero di soggetti infetti dal virus variabile a secondo della metanalisi fra 12 e 70 milioni; tuttavia lo scenario epidemiologico è nel frattempo cambiato grazie al successo della vaccinazione contro l’HBV, che ha portato per default ad un calo dell’HDV, riducendo i portatori di HBsAg suscettibili alla sua infezione. Il declino dell’infezione è più profondo e drammatico nelle popolazioni domestiche dei paesi Europei, nelle quali la vaccinazione HBV è stata introdotta dagli anni '90 e dove verosimilmente l’epatite D scomparirà con la prossima generazione: l’HDV, tuttavia sta tornando in Europa attraverso l’influsso di immigrati da aree dove la sua infezione rimane consistente. La prevalenza della malattia va diminuendo anche nei molti paesi extra-Europei che hanno introdotto la vaccinazione contro l’HBV, seppur meno velocemente che in Europa; rimane invece florida nell’Africa Subsahariana e nell’Asia Centrale e Sud Orientale, dove il controllo dell’HBV è ancora primordiale.

Accanto al successo della vaccinazione, l’altro successo destinato a cambiare lo scenario dell’HDV nel prossimo futuro è l’avvento di nuovi farmaci ora in avanzata sperimentazione clinica, che promettono finalmente efficacia nella terapia dell’epatite cronica D. I malati sono rinfrancati dalla percezione che l'epatite D non è più malattia inesorabile ma diventa suscettibile di guarigione e controllo clinico; nel contempo gli epidemiologi sono sollecitati a riesumarne la prevalenza contemporanea ed i clinici confortati dal poter prospettare ai pazienti un concreto intervento terapeutico.

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