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L’epatite autoimmune, terapia e prognosi nel lungo termine |...

La terapia immunosoppressiva a base di steroidi + azatioprina o...

N.2 2023
Clinica
L’epatite autoimmune, terapia e prognosi nel lungo termine

Luigi Muratori
Centro delle Malattie Autoimmuni di Fegato e Vie Biliari, IRCCS Policlinico di Sant'Orsola, Bologna; European Reference Network for Hepatological Diseases (ERN RARE-LIVER); DIMEC, Università di Bologna

La terapia immunosoppressiva a base di steroidi + azatioprina o analogo induce e mantiene la remissione completa della malattia nella maggior parte dei pazienti; in tal caso la prognosi a lungo termine è favorevole. Dopo una stabile e prolungata remissione tentare la sospensione del trattamento è un obiettivo ragionevole e proponibile, anche se gravato assai spesso da recidiva di malattia

 

L'epatite autoimmune (EAI) è una malattia infiammatoria del fegato ad andamento cronico su base immuno-mediata, ad eziologia tuttora sconosciuta, innescata da fattori eterogenei (infezioni virali, farmaci, vaccini, ecc.) in soggetti geneticamente predisposti. Si tratta di una malattia relativamente rara, ma in costante aumento, in analogia con altre condizioni autoimmuni e, se non viene correttamente diagnosticata ed adeguatamente trattata, può progredire nel giro di pochi anni ed evolvere in cirrosi e sue complicanze; in alternativa – in una minoranza di casi – può presentarsi con decorso subfulminante e necessità urgente di trapianto d’organo (1).

La malattia esordisce in ogni fascia di età, dal bambino al grande anziano, con picchi prevalenti nella seconda e quinta decade di vita, prevalentemente in soggetti di sesso femminile e ad ogni latitudine del globo (2,3). In Italia la predisposizione genetica, legata al complesso maggiore di istocompatibilità (HLA di classe I A1 e B8, di classe II DR3 e DR4), è presente in circa due terzi dei pazienti. Le manifestazioni cliniche sono tipicamente proteiformi, spaziando dal riscontro occasionale di alterati indici di funzione epatica in pieno benessere (4) a malessere generale con nausea, dolore addominale, artralgie, febbricola, manifestazioni presenti di solito in corso di epatite acuta, non di rado itterica (5).

Fig 1In caso di diagnosi tardiva, quando la malattia è già in fase cirrotica avanzata, l'esordio è caratterizzato dai segni e sintomi dello scompenso ittero-ascitico. In ragione della stretta associazione con altre malattie autoimmuni (tiroidite autoimmune, artrite reumatoide, sindrome sicca, malattia celiaca, malattie infiammatorie intestinali, connettiviti, vasculiti, psoriasi, vitiligine, ecc.) spesso l'osservazione di alterazioni persistenti della funzione epatica avviene per la prima volta nel corso dei controlli specialistici per la patologia autoimmune concomitante (1).

Criteri diagnostici

L'EAI non è diagnosticabile con un singolo test e l’iter diagnostico necessita in primis della esclusione di ogni altra causa nota di rialzo delle transaminasi (virus epatitici, farmaci/tossici, alcol, malattie del metabolismo, malattie da accumulo di metalli). Sono poi richiesti alcuni elementi tipici della malattia quali la presenza di uno o più autoanticorpi, spesso in diverse combinazioni (6) e con distribuzione alquanto differente in base all'età di esordio (Figura 1), la presenza di ipergammaglobulinemia policlonale (in particolare l'incremento delle IgG) pur in assenza di cirrosi, e soprattutto il quadro istologico di epatite dell'interfaccia con necrosi periportale, plasmacellule, rosette epatocitarie, setti attivi e talora emperipolesi.

Tab 1Pur non essendo patognomonico, l'aspetto istopatologico risulta imprescindibile per il corretto inquadramento diagnostico. I criteri semplificati per la diagnosi di EAI (7) sono riportati in Tabella 1.

Terapia dell'epatite autoimmune

Il trattamento dell'EAI si può convenzionalmente suddividere in due fasi:

  • induzione della remissione della infiammazione epatica in fase acuta;
  • mantenimento della remissione (2,3,8).

Induzione della remissione. Lo steroide (prednisone o metilprednisolone) a dosaggio spesso generoso rappresenta il farmaco imprescindibile per spegnere l'aggressione immuno-mediata e controllare l'epatite acuta sotto il profilo biochimico e florida dal punto di vista istologico (1-3). Gli indici ematici di risposta al trattamento da monitorare con attenzione sono i valori di transaminasi ed i livelli di IgG. Non è richiesto il monitoraggio dell'assetto autoanticorpale, che peraltro è soggetto a modificazioni anche sostanziali nel corso degli anni (9). Il rientro nella norma sia delle transaminasi che delle IgG entro i primi 6 mesi di trattamento rappresenta l'obiettivo terapeutico ottimale, associato ad una prognosi eccellente, con ridotto rischio di progressione della malattia epatica (10).

Il dosaggio iniziale dello steroide varia a seconda dei casi: nella forma iperacuta/subfulminante è utilizzato a livelli massimali (1 mg/kg/die) talora per via endovena, mentre nel caso di esordio clinico e biochimico meno aggressivo come dose d’attacco di 0.5 mg/kg/die per os di solito risulta sufficiente. Nei pazienti con controindicazioni maggiori all'utilizzo degli steroidi classici (diabetici, obesi, grandi anziani, ipertesi severi, portatori di osteoporosi) budesonide può essere proposto come steroide alternativo, al dosaggio standard di 3 mg x 3/die. Tale farmaco si caratterizza per effetti collaterali più blandi (inclusi quelli cosmetici quali irsutismo, facies lunaris, gibbo), con il limite però di possedere minore attività anti-infiammatoria, pertanto va riservato ai casi meno aggressivi, ed è controindicato nel paziente già cirrotico. Supplementi di vitamina D e calcio sono raccomandati sin dall'inizio del trattamento e vanno poi modulati/potenziati in funzione della necessità di terapia steroidea protratta e della risposta del metabolismo osseo (2,3).

Mantenimento della remissione. La quasi totalità dei pazienti con EAI mostra una buona risposta alla terapia anti-infiammatoria steroidea, con rapido calo e successiva normalizzazione delle transaminasi prima e delle IgG poi, che deve essere accompagnata dal progressivo e prudente decalage dello steroide (1). Qualche volta la mancata risposta allo steroide può verificarsi a causa della scarsa aderenza ad un regime terapeutico aggressivo che determina effetti collaterali anche cosmetici particolarmente spiacevoli (acne, irsutismo, gibbo, strie rubrae), specie nelle prime fasi, se i dosaggi non sono sapientemente calibrati. Tale problematica è comprensibilmente più sentita da adolescenti e giovani donne. In tali contesti budesonide al posto degli steroidi classici potrebbe essere utile, qualora l'entità della flogosi epatica non sia particolarmente elevata.

Per evitare che l'infiammazione epatica possa riattivarsi durante il décalage steroideo è indispensabile l'utilizzo di un secondo farmaco ad attività immunosoppressiva, da abbinare mentre le transaminasi sono in calo e l'eventuale ittero presente in fase acuta è in via di risoluzione. Il farmaco di prima scelta è rappresentato dall'azatioprina, al dosaggio di 1-2 mg/kg/die (1). Circa il 5-10% dei pazienti risulta intollerante a tale farmaco, per cui diventa necessario sospenderlo. La 6-mercaptopurina, metabolita attivo dell'azatioprina, è ben tollerato da un'ampia proporzione di coloro che sono intolleranti all'azatioprina, e rappresenta una valida ed efficace alternativa, al dosaggio di 1-2 mg/kg/die.

Come farmaco di seconda linea per il mantenimento della remissione biochimica ed immunologica può essere utilizzato anche il mofetil micofenolato, al dosaggio di 2 g/die. A differenza dell'azatioprina, mofetil micofenolato è notoriamente teratogeno per cui non deve essere utilizzato nelle giovani donne che vogliono avere figli. Solitamente la remissione è mantenuta nel tempo con azatioprina (o analogo) in monoterapia, oppure azatioprina associata a dosaggi molto bassi di steroide (sino a 2-4 mg/die). Altri farmaci di secondo livello, meno utilizzati, sono i farmaci anti-rigetto quali ciclosporina e tacrolimus, da riservare a pazienti selezionati (11). Nell'utilizzo dei farmaci immunosoppressori particolare prudenza e attenzione va riservata al paziente cirrotico, spesso già leucopenico e piastrinopenico, che potrebbe sviluppare sia infezioni opportunistiche che insufficienza midollare su base jatrogena (2,3).

Durata del trattamento e tentativo di sospensione

Dopo che la remissione è stata stabilmente ottenuta per un congruo lasso di tempo è possibile ipotizzare la sospensione del trattamento immunosoppressivo, idealmente previa dimostrazione istologica della risoluzione della infiammazione epatica. È molto importante che tale strategia terapeutica sia concordata e condivisa sin dal momento della diagnosi e che il paziente comprenda benefici e limiti sia della fase di remissione farmacologica che dell'eventuale tentativo di sospensione del trattamento. Raggiunta e mantenuta la remissione per almeno 3-5 anni è possibile pianificare la sospensione completa della terapia, pur consapevoli che tale tentativo è gravato da un tasso di insuccesso estremamente elevato.

Fig 2La cronicità della malattia è, infatti, ben rappresentata dal fatto che circa l'80% dei pazienti sperimenta una nuova riesacerbazione epatitica entro 24 mesi dalla sospensione della immunosoppresione (12), ma tale evento può manifestarsi anche successivamente (Figura 2), per cui è essenziale lo stretto e regolare monitoraggio clinico e biochimico al fine di reimpostare il trattamento il prima possibile in caso di recrudescenza. Purtroppo non sono noti fattori prognostici favorevoli in grado di identificare a priori i rari soggetti che non svilupperanno recidiva di malattia. Non di rado il paziente preferisce mantenere la immunosoppressione in monoterapia a tempo indeterminato piuttosto che rischiare la riesacerbazione dell'EAI e quindi la necessità di dovere assumere nuovamente lo steroide.

Prognosi nel lungo termine dell'epatite autoimmune

I pazienti che sono trattati precocemente di solito mostrano una risposta completa con remissione clinica e biochimica, la malattia non progredisce e talora si osserva regressione della fibrosi. Fattori prognostici sfavorevoli nel lungo termine sono rappresentati dal controllo non ottimale della malattia, esordio in età pediatrica, presenza di cirrosi, episodi ripetuti di riesacerbazione, razza nera, concomitanza di altra patologia epatica (virale, metabolica, autoimmune biliare).
Il rischio di carcinoma epatocellulare è aumentato nel paziente con EAI e cirrotico, anche se in maniera molto meno significativa che nelle cirrosi virali o dismetaboliche. Pur gravata dalla necessità di controlli regolari e dalla necessità di frequenti rimodulazioni terapeutiche, qualità e aspettativa di vita del paziente responsivo alla terapia non sono molto differenti dal sano, e la stretta alleanza medico-paziente nella condivisione di strategie ed obiettivi terapeutici di lunga durata riveste un ruolo fondamentale per il buon esito della gestione dell'EAI nel lungo termine.

 


Take-home messages

  • L’EAI è una malattia epatica relativamente rara, colpisce ogni fascia di età, in prevalenza il sesso femminile, ha espressione clinica estremamente polimorfa, da epatite iper-acuta a cirrosi scompensata.
  • La terapia immunosoppressiva a base di steroidi + azatioprina o analogo induce e mantiene la remissione completa della malattia nella maggior parte dei pazienti; in tal caso la prognosi a lungo termine è favorevole.
  • Dopo una stabile e prolungata remissione tentare la sospensione del trattamento è un obiettivo ragionevole e proponibile, anche se gravato assai spesso da recidiva di malattia.

 

  1. Muratori L, Lohse AW, Lenzi M. Diagnosis and management of autoimmune hepatitis. BMJ. 2023;380:e070201.
  2. EASL Clinical Practice Guidelines: Autoimmune hepatitis. J Hepatol. 2015;63:971-1004.
  3. Mack CL, Adams D, Assis DN, et al. Diagnosis and management of autoimmune hepatitis in adults and children: 2019 practice guidance and guidelines from the American Association for the Study of Liver Diseases. Hepatology. 2020;72:671-722.
  4. Muratori P, Lalanne C, Barbato E, et al. Features and progression of asymptomatic autoimmune hepatitis in Italy. Clin Gastroenterol Hepatol. 2016;14:139-146.
  5. Muratori P, Carbone M, Stangos G, et al. Clinical and prognostic implications of acute onset of autoimmune hepatitis: an Italian multicentre study. Dig Liver Dis. 2018;50:698-702.
  6. Muratori L, Deleonardi G, Lalanne C, et al. Autoantibodies in Autoimmune Hepatitis. Dig Dis. 2015;33 Suppl 2:65-69.
  7. Hennes EM, Zeniya M, Czaja AJ, et al. Simplified criteria for the diagnosis of autoimmune hepatitis. Hepatology. 2008;48:169-176.
  8. Muratori L, Longhi MS. The interplay between regulatory and effector T cells in autoimmune hepatitis: Implications for innovative treatment strategies. J Autoimmun. 2013;46:74-80.
  9. Muratori P, Lenzi M, Cassani F, et al. Diagnostic approach to autoimmune hepatitis. Expert Rev Clin Immunol. 2017;13:769-779.
  10. Pape S, Snijders RJALM, Gevers TJG, et al. Systematic review of response criteria and endpoints in autoimmune hepatitis by the International Autoimmune Hepatitis Group. J Hepatol. 2022;76:841-849.
  11. Liberal R, de Boer YS, Andrade RJ, et al. Expert clinical management of autoimmune hepatitis in the real world. Aliment Pharmacol Ther. 2017;45:723-732.
  12. van Gerven NM, Verwer BJ, Witte BI, et al. Relapse is almost universal after withdrawal of immunosuppressive medication in patients with autoimmune hepatitis in remission. J Hepatol. 2013;58:141-147.

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