La gestione delle infezioni fungine invasive (IFI) nei pazienti con neoplasie ematologiche rimane ancora oggi impegnativa a causa delle difficoltà nella diagnosi e nel trattamento. Tra tutte le infezioni fungine, l’aspergillosi invasiva (AI) rappresenta la complicanza più frequente in questo sottogruppo di pazienti ed è caratterizzata da un alto tasso di morbilità e mortalità. A seguire sicuramente più importanti come frequenza e drammaticità nei pazienti con neoplasie ematologiche sono le infezioni da Mucorales, mentre le infezioni da Candida spp ed in generale da lieviti hanno mostrato una netta flessione in questi pazienti ed anche il tasso di mortalità si è decisamente ridotto nel tempo (1).
Aspergillosi invasiva
L’AI si verifica principalmente nei pazienti che manifestano neutropenia prolungata a seguito di chemioterapia di induzione intensiva, tipicamente leucemia mieloide e linfoide acuta (LMA e LLA) e in coloro che sono sottoposti a trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche (allo-HSCT) (2). Vari parametri potrebbero influenzare l’insorgenza di aspergillosi in questi pazienti, non solo la neutropenia, che rimane il fattore più importante, ma anche le comorbidità, l’età, gli stili di vita, il tipo di trapianto, il grado di compatibilità tra il donatore e il paziente, ma è davvero importante anche il tipo di chemioterapia per la neoplasia sottostante (3).
Il trattamento dell’aspergillosi, e delle IFI in generale, in questi pazienti, è stato oggetto di numerosi studi per identificare i farmaci più efficaci. Per molto tempo l’amfotericina B desossicolato (d-AmB) è stata considerata il farmaco di elezione per il trattamento dell’AI, anche perché era l’unico a disposizione. A causa degli effetti collaterali dell’infusione e della marcata nefrotossicità, le formulazioni lipidiche di AmB e principalmente l‘amfotericina B liposomiale (L-AmB), decisamente meno tossica e con pari se non maggiore efficacia, l’ha definitivamente sostituita (4). In seguito il voriconazolo è diventato la prima scelta per la terapia dell’aspergillosi invasiva dopo la pubblicazione di uno studio che dimostrava che il voriconazolo era più efficace della d-AmB come terapia di prima linea nei pazienti con AI immunocompromessi e no. Più recentemente, l’isavuconazolo, è risultato non inferiore al voriconazolo per il trattamento primario dell’aspergillosi e di altre infezioni da muffe con minore tossicità e interazione farmacologica (5-6).
Vari panel di esperti, dopo un’attenta revisione della letteratura, hanno redatto linee guida per standardizzare gli approcci terapeutici alle IFI, principalmente AI, in tutti i pazienti con grande attenzione al sottogruppo dei neutropenici. Le linee guida più seguite sono quelle di ECIL (European Conference on Infections in Leukemia), IDSA (Infectious Diseases Society of America), ESCMID (European Society of Clinical Microbiology and Infectious Diseases) (7-9).
Attualmente, secondo queste linee guida, i farmaci di scelta per il trattamento dell’AI nei pazienti con neoplasie ematologiche sono considerati voriconazolo e isavuconazolo con lo stesso grado di raccomandazione. L-AmB è considerata una valida alternativa in tutte le linee guida internazionali, ma con un livello di raccomandazione inferiore a causa della nefrotossicità della molecola dell’amfotericina. Tutti gli altri azoli, echinocandine e altre formulazioni lipidiche di seconda generazione dell’AMB hanno un livello inferiore di raccomandazione per l’uso, basato sull’efficacia e sulla tossicità.
Mucormicosi
Se per il trattamento della aspergillosi possono esserci diverse opzioni, per le mucormicosi, altra muffa che purtroppo causa frequentemente quadri devastanti nei pazienti neutropenici, le alternative sono decisamente minori. La L-AmB è considerata dalle linee guida, come il trattamento di scelta con il livello di evidenza più alto rispetto a tutte le altre possibili alternative. La dose di L-AmB di 5 mg/Kg/die è stata associata a un migliore tasso di risposta e sopravvivenza (10).
Studi recenti hanno dimostrato l’efficacia anche di isavuconazolo e posaconazolo per il trattamento della mucormicosi. Sebbene gli studi registrativi abbiano reclutato solo un piccolo numero di pazienti, l’efficacia di queste molecole ha portato al loro utilizzo come farmaci idonei per il trattamento della mucormicosi (11-12).
Considerata l’estrema aggressività di questa complicanza e l’elevatissimo tasso di mortalità, si è cercato di migliorare i tassi di risposta combinando i diversi farmaci antifungini. Di solito, la combinazione più utilizzata è con composti lipidici di AMB e posaconazolo. In un’analisi retrospettiva multicentrica sono stati identificati 32 pazienti con neoplasie ematologiche trattati con questa combinazione. Una risposta favorevole è stata osservata nel 56% dei pazienti e solo il 28% di questi pazienti è morto a causa della mucormicosi (13).
Terapia antifungina combinata
Le combinazioni di diverse classi di antimicotici sono state prese in considerazione non solo per la mucormicosi, ma i benefici dell’approccio antifungino combinato sono stati rafforzati nel contesto dell’emergenza di aspergillosi azolo-resistenti. L’uso di farmaci antifungini in combinazione può includere una terapia sequenziale in cui un secondo agente antifungino viene aggiunto al precedente a causa della sua efficacia bassa o insoddisfacente o una terapia più farmaci vengono utilizzati tutti insieme dall’inizio.
La terapia antifungina combinata può idealmente aumentare l’attività o ampliare lo spettro della terapia antifungina, ridurre al minimo la resistenza, ridurre la durata del trattamento. Tuttavia, la possibilità che la combinazione di due agenti possa comportare un effetto antagonista con conseguente riduzione dell’efficacia antifungina e dell’efficacia clinica, aumentare il potenziale di interazioni farmacologiche e tossicità e, inevitabilmente, aumentare i costi con il rischio di nessuna chiara evidenza dei benefici, dovrebbe anche essere considerata. Nessuno studio clinico prospettico ha finora dimostrato la superiorità della terapia di combinazione rispetto alla monoterapia (14).
Mentre le indicazioni dalla letteratura e dalle linee guida sono chiare riguardo alla terapia mirata, il dibattito sull’uso della terapia empirica o preventiva è molto più controverso.
Terapia empirica e pre-emptive
In merito alla terapia empirica, L-AmB ha mostrato la stessa efficacia della d-AmB, ma con una minore tossicità correlata all’infusione e una minore nefrotossicità; di conseguenza, è diventato lo standard per l’uso empirico. L-AmB è stata quindi confrontata con voriconazolo o caspofungina in un disegno di non inferiorità in aperto. L’endpoint primario di non inferiorità di voriconazolo rispetto a L-AmB non è stato raggiunto e, pertanto, voriconazolo non è stato approvato per il trattamento empirico di pazienti neutropenici febbrili. Per contro, la caspofungina ha soddisfatto i criteri statistici di non inferiorità nel confronto con la L-AmB, ed i pazienti trattati con caspofungina hanno avuto una sopravvivenza leggermente migliore a 7 giorni e una minore interruzione del trattamento. Alla luce di quello studio, la caspofungina è stata approvata per il trattamento empirico delle IFI parimenti alla L-AmB (15-16).
Sia la terapia empirica che la terapia pre-emptive sono molto frequentemente utilizzate nei pazienti con neoplasie ematologiche. Molti fattori possono rendere preferita la terapia empirica. Di solito, i pazienti con LMA eseguono la profilassi antifungina, principalmente con posaconazolo. La marcata neutropenia unita all’azione di un potente antimicotico sistemico può modificare la risposta immunologica del paziente, come consequenza i test microbiologici a nostra disposizione non riescono a consentire una corretta diagnosi (es. galattomannano sierico), oppure modificare l’aspetto radiologico con l’assenza dei quadri radiologici tipico delle infezioni fungine polmonari. Queste variabili rendono estremamente complicato arrivare ad una diagnosi di infezione possibile e provata, per cui spesso il trattamento viene iniziato solo sulla base della neutropenia e della febbre non responsiva alla terapia anatibiotica in maniera del tutto empirica. L-AmB è stata ampiamente studiata per trattamenti sia empirici che pre-empive di AI in pazienti con neoplasie ematologiche sottoposti a chemioterapia o allo-HSCT. Uno studio randomizzato in aperto si è basato sui risultati ottenuti dal test del galattomannano sierico seguito dal trattamento con d-AmB o L-AmB.
La sopravvivenza è stata del 97,3% per il trattamento empirico e del 95,1% per il trattamento pre-emptive, che soddisfaceva ancora i criteri di non inferiorità. Tuttavia, infezioni probabili o provate erano più comuni nel gruppo pre-emptive (12/73 pre-emptive vs 3/78 empirico, p = 0,05). Risultati simili sono stati ottenuti in un altro studio in cui i destinatari di allo-HSCT sono stati assegnati a ricevere L-AmB per febbre neutropenica persistente (gruppo empirico) o febbre più positività alla PCR (gruppo pre-emptive). Non sono state riscontrate differenze nella sopravvivenza, ma il 57% dei pazienti nel gruppo pre-emptive ha ricevuto il farmaco in studio rispetto al 37% dei pazienti nel gruppo empirico (17).
Negli ultimi anni, il rischio di infezione fungina che in precedenza era prevalente dei pazienti con LMA e i riceventi allo-HSCT sembra essere completamente diverso da quanto riportato. Questo perché l’armamentario farmacologico a disposizione degli ematologi per il trattamento delle neoplasie ematologiche sia acute che croniche si è notevolmente arricchito di nuovi farmaci estremamente efficaci ed i trattamenti chemioterapici convenzionali sono stati accoppiati a immunoterapie e terapie target, i cui effetti immunologici sono in gran parte indeterminati ma con caratteristiche tali da modificare le nostre vecchie conoscenze in materia di profilassi e trattamento delle infezioni fungine.
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