La tecnologia delle cellule T con recettore chimerico dell’antigene (CAR) è stata concepita per la prima volta negli anni ’80 da Eshhar e Gross (Immunology 1989) con l’idea di indirizzare la risposta delle cellule T su antigeni specifici, attraverso l’editing genetico dei recettori delle stesse cellule. La tecnologia CAR-T sta oggi avendo un enorme impatto nel trattamento delle neoplasie del sangue, tra cui molti tipi di leucemia e mielomi, e passi avanti si stanno facendo anche nei tumori solidi. Negli ultimi anni, sono stati compiuti sforzi anche per dimostrare il potenziale delle CAR-T nella cura dell’infezione dal Virus dell’Immunodeficienza Umana (HIV).
D’altronde, una delle prime applicazioni cliniche delle CAR-T è stata proprio il trattamento di persone con HIV-1, in cui le cellule T CD8+ venivano geneticamente modificate per esprimere il ligando naturale dell’HIV, il CD4, come dominio extracellulare, al fine di generare una risposta citotossica contro le cellule HIV-infette (Walker Blood, 2020). Dal trattamento delle prime persone però emerse come sebbene la terapia si fosse dimostrata sicura e la sopravvivenza cellulare fosse di lunga durata, il controllo dell’infezione, compresa l’inibizione di eventuali rebound, rimanesse un target non raggiunto.
Il perché le CAR-T abbiano avuto successo con il trattamento dei tumori del sangue ma meno sino ad ora con la cura dell’HIV, è da ricercarsi nelle quantità più elevate e nella stabilità antigenica dell’antigene bersaglio espresso nei tumori del sangue, che rendono più semplice per le cellule CAR-T azionare la loro risposta citotossica. La variabilità della proteina gp120 e il fatto che le cellule che la esprimono non rappresentano la totalità delle cellule infettate dall’HIV possono compromettere l’efficacia delle cellule CAR-T nel raggiungimento della agognata cura sterilizzante. Inoltre, il fatto che le prime cellule CAR-T siano state progettate per esprimere il CD4 ha sollevato la possibilità che nuove particelle virali possano infettare le stesse cellule ingegnerizzate.
Per ovviare al tendine d’Achille delle CAR-T, sono stati sviluppati negli ultimi anni nuovi approcci, come la progettazione di cellule basate su un’architettura a due molecole, denominata duoCAR, in grado di bloccare la glicoproteina gp120 in tre siti distinti. In vitro, le cellule duoCAR-T hanno mostrato una efficiente capacità litica delle cellule HIV infette, ma soprattutto sono risultate resistenti all’infezione dal virus. Nel lavoro preclinico, basato su modello murino umanizzato di infezione intrasplenica da HIV, le cellule duoCAR-T hanno esercitato un controllo a lungo termine dell’infezione, sono risultate resistenti ad essa ed hanno messo un freno alla caduta delle cellule T CD4+ (Anthony-Gonda, Science Transl Medicine 2019). Tali risultati hanno incoraggiato l’avvio del trial clinico, che per ora conta di due persone infuse con duoCAR-T. La sperimentazione ad oggi non ha mostrato eventi avversi significativi e c’è attesa per i risultati sulla soppressione virologica e sul comportamento del reservoir virale (News, Carvalho, Nature 2023).
Oltre alle cellule duoCAR-T, sono state progettate cellule in grado di coesprimere inibitori della fusione dell’HIV-1, o costrutti in grado di coesprimere small hairpin RNA aventi come bersaglio il co-recettore CCR5. Sono state sviluppate anche CAR-T armate di anticorpi neutralizzanti (bNAb) in grado di bersagliare diversi siti di gp120 e gp41 e dunque in grado di partecipare al blocco della trasmissione cellula-cellula del virus. Dallo sviluppo di nuove CAR-T combinate con bNab, denominate M10, nel maggio del 2024 sono stati pubblicati i primi risultati dello studio clinico, in cui 18 persone che vivono con HIV-1 sono state trattate con due infusioni allogeniche di cellule M10 ad un intervallo di 30 giorni l’una dall’altra, ognuna delle quali seguita dall’attivazione del serbatoio dell’HIV-1 con chidamide. I risultati sono stati incoraggianti, con una soppressione del rebound virale nel 74% dei soggetti infusi e con una diminuzione media della carica virale del 62%. In 10 persone i livelli di HIV-1 RNA associati alle cellule si sono inoltre ridotti a 5 mesi dalla prima infusione, facendo intravedere la possibilità di una riduzione del reservoir virale nel tempo (Mao Cell Discovery, 2024).
Visti questi ultimi risultati, le CAR-T rappresentano un modello con larghi margini di azione e miglioramento, sebbene il percorso sia complesso e sfidante. D’altronde, HIV può ripresentarsi dopo anni di latenza ed i provirus latenti integrati nel genoma dell’ospite sono di per sé invisibili anche alle cellule T artificialmente modificate. È anche doveroso ricordare che le terapie con CAR-T approvate per i tumori del sangue sono tra i trattamenti più costosi della medicina e sarà dunque necessario dimostrare non solo la loro efficacia nel controllo del virus a lungo termine, ma anche la loro accessibilità alla popolazione che con HIV vive.