Cryptococcus neoformans, isolato per la prima volta nel 1894 da Francesco Sanfelice e allora denominato Saccharomyces neoformans, venne identificato l’anno successivo come causa di patologia umana (in un caso di granuloma cronico osseo) da Otto Busse e Abraham Buschke.
Tuttavia la rilevanza di questa infezione, di natura prevalentemente opportunista, è stata riconosciuta solo a partire dagli anni ’80 in concomitanza con la pandemia da HIV/AIDS essendo tale microrganismo responsabile prevalentemente di quadri di meningoencefalite subacuta. L’introduzione delle terapie antiretrovirali ad elevata efficacia (HAART) a partire dalla metà degli anni ’90 ha prodotto, principalmente nei Paesi occidentali, una drastica riduzione dell’incidenza di questa infezione che resta tuttavia associata ad una letalità elevata soprattutto nella fase acuta di malattia.
La rilevanza a livello globale di questa infezione opportunista nei pazienti HIV-sieropositivi è stata nuovamente apprezzata nella sua interezza nel 2009 con il lavoro seminale condotto dai Centers for Diseases Control and Prevention (CDC) che stimarono, sulla base dei dati di incidenza ottenuti in diverse coorti di pazienti nelle diverse aree geografiche, quanti fossero a livello mondiale i casi di meningite criptococcica HIV-correlata e la mortalità ad essa associata (1).
Secondo quanto riportato nello studio sopracitato l’incidenza annuale di criptococcosi era stimata in 957,900 casi (con un range di 371,700-1,544,000) e la quota più significata veniva osservata in Africa sub-Sahariana (720,000 casi/anno) con una mortalità globale stimata in 624,700 casi (125,000 - 1,124,900) entro tre mesi dall’infezione. Nel 2017, utilizzando un differente approccio, basato sul numero di pazienti a rischio (valori di linfociti CD4+ inferiori a 100/μL in assenza di terapia antiretrovirale, prevalenza di antigenemia criptococcica e stime di incidenza globale di infezione da HIV (prodotte da UNAIDS nel 2014), il gruppo di ricercatori coordinato da David Boulware, ha stimato nel 2014, 223,000 casi incidenti di meningite criptococcica (IC 95% 150,600-282,400), il 73% dei quali in Africa sub-Sahariana con una mortalità globale di 181,000 casi (IC 95% 119,400-234,300) (2) (Figura 1).
Inizialmente riconosciuto come specie singola, Cryptococcus neoformans, a partire dal 2002 sulla base dei metodi molecolari disponibili veniva classificato in due specie distinte: C. neoformans e C. gattii con due varietà (neoformans e grubii) all’interno della prima e alcuni ibridi (AD) responsabili, questi ultimi, del 20-36% dei casi osservati in Europa meridionale.
Peraltro recenti studi di genotipizzazione hanno dimostrato l’esistenza di una notevole diversità genetica nell’ambito del complesso C. neoformans/C. gattii con la conseguente proposta di riconoscere almeno sette specie diverse (3) (Tabella 1). Tuttavia l’impiego di questa nuova nomenclatura non è stata universalmente accettata e, in considerazione della notevole eterogeneità genetica dimostrata, taluni Autori ritengono più appropriato prima di riconoscere ulteriori nuove specie di utilizzare la denominazione complesso di specie accanto a C. neoformans e C. gattii (4).
Uno studio molecolare condotto nel nostro Paese su oltre 300 ceppi clinici di C. neoformans ha dimostrato che 3 sono i genotipi più frequentemente isolati: nel 37.7% VNI (C. neoformans), nel 30.5% VNIV (C. deneoformans) e nel 30.1% VNIII (ibridi AD o C. neoformans x C. deneoformans) (5).
Clinica
Da un punto di vista clinico, rispetto a quanto osservato in epoca pre-HAART la modalità di presentazione della criptococcosi e in particolare della meningite criptococcica non si è modificata ma è possibile che vi sia, soprattutto nelle generazioni di infettivologi più giovani, una minoreconsapevolezza della resentazione spesso aspecifica di questa grave infezione opportunistica contraddistinta principalmente da cefalea con conseguente possibile ritardo nella diagnosi.
Antigenemia criptococcica isolata
Cionondimeno due aspetti meritano di essere menzionati perché importanti nel management di questa patologia: la cosiddetta “antigenemia criptococcica isolata” o criptococcosi asintomatica e la sindrome da immunoricostituzione (IRIS).
La prima, segnalata anche in epoca pre-HAART, è definita come positività dell’antigene criptococcico su siero (sCrAg- serum cryptococcal antigen) in pazienti asintomatici con bassi valori di linfociti CD4+ e generalmente naive per terapia antiretrovirale (6). Questa condizione è stata segnalata con prevalenze fino all’11.5% in pazienti ART-naive in studi condotti in Africa sub-Sahariana e fino al 12.9% in studi condotti in Sud-Est asiatico (6).
Circa un quarto dei soggetti asintomatici CrAg-positivi che non ricevono un trattamento antimicotico e iniziano la terapia antiretrovirale sviluppano un quadro di meningite entro 12 mesi. Oltre a ciò, studi condotti in diverse aree geografiche hanno dimostrato che la presenza di antigenemia criptococcica al baseline rappresenta un fattore predittivo indipendente di mortalità nel primo anno di terapia antiretrovirale (con un adjusted hazard ratio di 2.6-3.2) (6).
L’introduzione di un test immunocromatografico rapido (CrAg LFA-lateral flow assay) con valori di sensibilità e specificità sovrapponibili a quelli dei saggi standard eseguibile come point-of-care costituisce soprattutto nei Paesi ad elevata endemia di criptococcosi un importante avanzamento diagnostico (7).
Pur in assenza di robuste evidenze riguardo al management ottimale dell’antigenemia criptococcica isolata, le linee guida adottate in diversi Paesi suggeriscono di impiegare fluconazolo 800 mg/die per 2 settimane seguito da 400 mg/die per 8 settimane (6).
IRIS
La sindrome da immunoricostituzione in corso di criptococcosi HIV-correlata viene segnalata nel 10-20% dei soggetti entro un tempo mediano di 4-9 settimane dall’inizio della terapia antiretrovirale costituendo anche in questo caso un fattore predittivo indipendente di mortalità (8).
Tra i fattori associati a rischio elevato di sviluppare IRIS sono identificati una scarsa risposta infiammatoria iniziale (<5 globuli bianchi/μL), basse concentrazioni liquorali di citochine pro-infiammatorie (IFN-γ. TNF-α, IL-6 e IL-8) e aumentate concentrazioni liquorali di chemochine (CCL2/MCP-1, CCL3/MIP-1α).
Novità terapeutiche
Da un punto di vista terapeutico le uniche novità riguardanti la meningite criptococcica HIV-correlata sono quelle relative alle cosiddette terapie “adiuvanti”.
Un trial clinico randomizzato in doppio cieco che prevedeva l’impiego di desametasone nella meningite criptococcica HIV-correlata è stato sospeso prematuramente per la dimostrata inefficacia sulla mortalità rispetto al gruppo placebo e l’incremento di eventi avversi e disabilità osservati (9).
Per converso, in uno studio in aperto che impiegava la sertralina, un antidepressivo che si concentra in maniera significativa nel liquor e presenta attività fungicida nei confronti di C. neoformans (con MIC in vitro di 2-6 μg/mL), i pazienti sottoposti a questo trattamento presentavano una più rapida clearance del fungo dal liquor e una minore incidenza di IRIS (10).
Conclusioni
La meningite criptococcica continua ad essere una importante infezione opportunista nei pazienti HIV-positivi soprattutto in Africa sub-Sahariana eil riconoscimento dell’infezione asintomatica è oggi fondamentale prima dell’inizio della terapia antiretrovirale.
Il corretto timing relativo all’inizio della terapia antiretrovirale nei pazienti con meningite criptococcica HIV-correlata rimane controverso e le linee guida raccomandano di attendere almeno 2 settimane (fase di induzione) prima di iniziarla. In particolare, nel caso di ipertensione endocranica e assenza di risposta infiammatoria liquorale, può essere necessario dilazionarla anche per più tempo (10 settimane). Le condizioni cliniche del paziente e l’esperienza personale costituiscono, in assenza di certezze, i principali determinanti nella decisone terapeutica.
Bibliografia
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