Da quando, l’11 gennaio 2020, è stata pubblicata la sequenza genetica del virus SARS-CoV-2, industrie farmaceutiche e istituti scientifici e accademici in tutto il mondo hanno collaborato per sviluppare il più rapidamente possibile vaccini sicuri ed efficaci contro il COVID-19.
Alcuni vaccini impiegati utilizzano la stessa tecnologia (o “piattaforma”) di vaccini attualmente in uso, altri sono stati realizzati mediante nuovi approcci quali quelli recentemente seguiti nello sviluppo di vaccini contro SARS e Ebola.
L’eccezionale rapidità con cui i vaccini per COVID-19 sono stati approntati ha sollevato dubbi sul fatto che tutte le diverse fasi della sperimentazione clinica fossero state effettuate in modo appropriato. Ovviamente, i vaccini prodotti hanno seguito regolarmente tutte le diverse fasi della sperimentazione essendo stati testati prima in laboratorio, poi sugli animali e infine su volontari umani. I tempi brevi che hanno portato alla registrazione rapida sono stati resi possibili grazie alle ricerche già condotte da anni sui vaccini a RNA, alle risorse umane ed economiche messe a disposizione in tempi rapidissimi e alla tempestiva valutazione delle agenzie regolatorie dei risultati ottenuti man mano che questi venivano prodotti e non, come si usa fare, soltanto quando tutti gli studi sono stati completati. Queste misure hanno portato ad abbassare di anni i tempi di approvazione. Pertanto l’EMA (European Medicines Agency) ha valutato tutti i vaccini contro il COVID-19 sulla base degli stessi standard (elevati!) di qualità, sicurezza ed efficacia applicati a tutti gli altri farmaci o vaccini da immettere sul mercato. L’EMA inoltre continua a valutare tutti i dati che emergono nel corso del regolare utilizzo nella pratica clinica dei vaccini in uso rispetto a benefici e sicurezza monitorando così gli eventuali effetti collaterali riportati dalla sorveglianza post-marketing.
Tuttavia, anche se i vaccini hanno dato prova di efficacia e sicurezza in situazioni assistenziali diverse, in un contesto epidemiologico differente e con programmi vaccinali non convenzionali alcune domande devono avere ancora risposte certe.
I soggetti immunocompromessi presentano abitualmente una risposta agli stimoli vaccinali inferiore rispetto a quella della popolazione immunocompetente. In questi soggetti è difficile generalizzare la valutazione della risposta perché può essere sostanzialmente diversa in funzione della causa che determina l’immunocompromissione. Comunque, anche in assenza di anticorpi o con bassi titoli anticorpali, questi soggetti possono sviluppare una risposta T-cellulare specifica che può conferire una valida profilassi. Conseguentemente negli immunodepressi i correlati della protezione nei confronti di SARS-CoV-2 non sono ancora definiti. Dati recenti dimostrano che una schedula vaccinale che prevede due richiami, invece di un singolo, sarebbe in grado di migliorare la risposta anticorpale in soggetti trapiantati o con patologia onco-ematologica. Sebbene siano riportati casi di COVID-19 di varia gravità in soggetti che hanno completato il ciclo vaccinale, è importante riconoscere che la vaccinazione può prevenire molte infezioni o ridurne la gravità. In conclusione, i pazienti immunocompromessi devono essere sottoposti regolarmente a vaccinazione anti-COVID-19.
Un’altra questione aperta è l’adozione di quale sia la migliore strategia vaccinale nei soggetti non responder: questa domanda non può prescindere dalla individuazione del livello soglia degli indicatori immunologici umorali e cellulari in grado di predire la protezione contro la malattia o l’infezione dopo la vaccinazione o dopo l’infezione naturale. Al momento il titolo ottimale di anticorpi che garantisca protezione non è noto e l’efficacia dei vaccini non può essere definita adeguatamente dalla semplice presenza o assenza di anticorpi. Inoltre, la risposta al vaccino è fortemente influenzata da vari fattori legati all’ospite (età, immunodeficienze primitive, immunodeficienze secondarie, trapianto, malattie onco-ematologiche, utilizzo di farmaci immunosoppressivi, ecc). Allo stato attuale non esistono prove di efficacia conclusive in merito alla necessità di effettuare una rivaccinazione completa o dosi di richiamo di vaccini COVID (anche utilizzando vaccini diversi) nei soggetti non responder.
Per quanto riguarda la vaccinazione in chi è guarito dall’infezione da SARS-CoV-2 si raccomanda l’esecuzione della vaccinazione dopo almeno 3 mesi dalla guarigione e non oltre i 6 mesi. La dose indicata è di una unica dose ad eccezione dei soggetti fragili o immunodepressi per i quali sono comunque indicate due dosi.
Un’altra questione relativa alla vaccinazione è la sua efficacia nei confronti delle diverse varianti virali emerse in questi ultimi mesi. Infatti, i virus a RNA come SARS-CoV-2 sono soggetti a frequenti mutazioni, la maggioranza delle quali non modifica significativamente l’assetto antigenico del virus. Molte varianti sono state segnalate, ma finora nessuna di queste ha alterato il comportamento naturale del virus. I dati fino ad oggi in nostro possesso dimostrano che una vaccinazione completata può avere una efficacia ridotta nei confronti di alcune varianti (vedi ad esempio quella delta o indiana) ma che l’attività protettiva è comunque mantenuta. Questa possibilità fa sì che si debba strettamente monitorare non solo l’emergere di nuove varianti ma anche l’efficacia dei vaccini nei loro confronti.
Un’ultima questione sollevata è rappresentata dagli effetti collaterali gravi ai vaccini anti-SARS-CoV-2; in particolare sono state segnalate delle trombosi venose profonde, in alcuni rari casi letali, soprattutto in giovani donne successive ai vaccini con adenovirus come vettore della proteina 2 spike. Deve essere ancora compreso il meccanismo patogenetico di questi eventi ma sicuramente l’estrema rarità degli eventi stessi deve far comprendere come il beneficio della vaccinazione per una malattia spesso mortale sia di gran lunga superiore al rischio di evento avverso. Comunque ad oggi per ridurre al massimo il rischio di trombosi venose profonde a tutti i soggetti di età inferiore ai 60 anni viene consigliata la vaccinazione con vaccini a mRNA.
In conclusione, seppur è vero che rimangono ancora alcuni quesiti senza una risposta definitiva, si può certamente affermare che i vaccini per COVID-19 si stanno dimostrando estremamente efficaci e rappresentano la migliore arma in nostro possesso per contrastare questa terribile pandemia.