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In assenza di una efficace terapia proseguono le sperimentazioni...

N.2 2020
Percorsi clinici
Farmaci in uso e in sperimentazione contro SARS-CoV-2

Guido Poli1,2, Stefano Rusconi3
1Unità di Patogenesi Virale e Biosicurezza, IRCCS Ospedale San Raffaele, Milano. 2Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Vita-Salute San Raffaele, Milano. 3Malattie Infettive, Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche “Luigi Sacco”, Università degli Studi di Milano

In assenza di una efficace terapia proseguono le sperimentazioni cliniche di approcci empirici o basati su precedenti esperienze che possono essere schematicamente suddivisi tra antivirali, antinfiammatori e “combo”.

 

In assenza di una terapia pienamente efficace continuano le sperimentazioni cliniche di approcci empirici o basati su precedenti esperienze con le epidemie di SARS e MERS. Questi approcci possono essere schematicamente suddivisi tra antivirali, antinfiammatori e “combo”. Tra gli approcci che mirano ad un effetto antinfiammatorio vi sono diversi biological, cioè anticorpi monoclonali (mAb) più o meno ingegnerizzati e anakinra, il farmaco a base di antagonista recettoriale di interleuchina-1 (IL-1), una delle principali citochine infiammatorie. Tra gli approcci “combo” possiamo includere l’uso della plasmaterapia di persone guarite e ad alto titolo anticorpale anti-SARSCoV-2 e l’utilizzo di eparina e suoi derivati.

Antivirali

Allo stato attuale non sono stati identificati antivirali specificamente attivi nei confronti di SARSCoV-2 ma è stata verificata la possibile attività di antivirali noti e utilizzati in infezioni provocate da virus della stessa famiglia di SARS-CoV-2. Quest’ultimo è classificato nella sottofamiglia dei â-coronavirus che comprende anche i virus responsabili della SARS e della MERS.

  • Lopinavir-ritonavir (LPV/r) è un inibitore della proteasi di HIV che in vitro presenta attività nei confronti dei coronavirus. Utilizzato in associazione o meno con ribavirina (RBV), LPV/r ha dimostrato in pazienti con SARS un’efficacia superiore a RBV nel ridurre il rischio di sviluppare acute respiratory distress syndrome (ARDS) e di andare incontro a morte (1). Alcuni studi hanno dimostrato in vitro un’attività di LPV/r anche nei confronti di MERS-CoV coltivato su cellule Vero, ma altri studi non hanno confermato tale dato (2,3). Due le segnalazioni di pazienti affetti da MERS-CoV trattati con la combinazione di LPV/r, interferone peghilato e ribavirina (Peg-IFN + RBV) uno dei quali è sopravvissuto (4,5).
    E’ in corso uno studio clinico randomizzato e controllato (MIRACLE) che ha l’obiettivo di verificare l’efficacia terapeutica di LPV/r+IFNb nei pazienti con infezione da MERS-CoV. Un recente trial randomizzato condotto in Cina in soggetti con COVID- 19, che presentavano una polmonite virale severa e un rapporto PaO2/FiO2 <300 mmHg, non ha mostrato alcun beneficio nei confronti della cura standard (6). Recentemente un gruppo nordamericano ha dimostrato su un modello sperimentale di infezione da MERS nel topo che l’impiego profilattico di LPV/r+IFNb riduce il viral load ma ha scarso impatto sui parametri di malattia; inoltre, l’uso terapeutico pur migliorando la funzionalità polmonare non riduceva la replicazione virale o lo sviluppo di patologia polmonare grave (7).
  • Nello stesso studio l’impiego sia profilattico sia terapeutico di remdesivir (RDV, GS-5734) si dimostrava attivo sia nel ridurre la carica virale, sia nel migliorare i parametri di funzionalità polmonare. Un altro studio effettuato utilizzando un modello di infezione da MERS-CoV nel macaco ne ha confermato l’attività profilattica e terapeutica (8).
    RDV è un analogo nucleotidico che viene incorporato nella catena di RNA virale nascente risultando nella sua terminazione prematura. Tale meccanismo è alla base della sua possibile efficacia nei confronti dei coronavirus respiratori (9). In un modello in vitro di cellule Vero infettate con il ceppo nCoV-2019BetaCoV/Wuhan/WIV/04/2019, sia RDV sia clorochina hanno dimostrato di essere in grado di bloccare l’infezione a basse concentrazioni, in maniera sinergica (10). I risultati dell’uso compassionevole di RDV su 61 soggetti con COVID-19 hanno evidenziato un miglioramento clinico in 36 su 53 pazienti analizzati (68%) (11). Informazioni più accurate su sicurezza ed efficacia di RDV saranno ottenute dai trial randomizzati GS-US-540-5773 e GSUS-540-5774 in corso.
    Lo studio compassionevole italiano ha confermato il beneficio nei pazenti con polmonite da SARSCoV-2 ricoverati al di fuori della terapia intensiva (12). Il report preliminare di GS-US-540-5773 su 397 pazienti non evidenzia una differenza significativa tra una terapia di 5 giorni o 10 giorni con RDV. Senza alcun controllo placebo, tuttavia, l’entità del beneficio non ha potuto essere determinata (13). A risultati contrastanti sono giunti infine gli altri studi randomizzati condotti finora (14, 15).
  • Di clorochina, noto farmaco antimalarico, è stata dimostrata l’attività antivirale nei topi neonati infettati da coronavirus umano OC43 (16). Tale farmaco, oltre ad acidificare il pH endosomiale, sembra interferire con la glicosilazione terminale del recettore cellulare ACE2 impiegato da SARS-CoV e SARS-CoV-2; questi meccanismi potrebbero agire negativamente sul legame virus-recettore abrogando l’infezione (17). Infine, clorochina mostra una attività immunomodulante con soppressione e/o rilascio di TNFá e interleuchina-6 (IL-6), effetto da lungo tempo sfruttato nei confronti di patologie reumatologiche quali LES, artrite reumatoide e sarcoidosi (18). Potrebbe apportare benefici anche nei confronti dell’infezione da SARS-CoV-2 (19).
  • Favipiravir (T-705) è un analogo nucleosidico, studiato in Cina come trattamento sperimentale di SARS-CoV-2. Non esistono studi clinici randomizzati relativi alla sicurezza o all’efficacia nel trattamento di SARS-CoV-2. Ricercatori cinesi hanno suggerito, in uno studio su 80 pazienti con SARS-CoV-2 in forma lieve e con massimo 7 giorni di malattia, che il farmaco potrebbe essere efficace nel trattamento di SARS-CoV-2 (20). In questo studio, favipiravir (ricevuto da 35 soggetti) ha accorciato a 4 giorni il decorso della malattia, rispetto agli 11 giorni di LPV/r (ricevuto da 45 soggetti). I pazienti hanno riportato miglioramenti visibili alla TAC (rispetto a LPV/r) del 47%. Resta comunque una forte perplessità sull’efficacia, anche secondo quanto emerso da un studio in vitro condotto da ricercatori coreani (21).

Antinfiammatori

  • mAb anti-virali. Ad oggi, non esistono mAb approvati per uso terapeutico, ma diversi candidati in varie fasi di validazione e sviluppo. Uno studio condotto su uno di questi, mAb S309, messo a punto dalla Humabs Biomed SA, affiliata della Vir statunitense, è stato pubblicato su Nature ed ha molti aspetti di potenziale importanza per la terapia della COVID-19 (22). Come illustra Davide Corti, direttore della ricerca dell’azienda e ultimo autore della pubblicazione, lo studio è partito da 25 mAb generati da un paziente italiano affetto dalla SARS nel 2003 (23). Tra questi, il mAb denominato S309 ha dimostrato una regione conservata della spike di SARS-CoV-2 che condivide il recettore d’ingresso angiotensin converting enzyme 2 (ACE2) col virus della SARS (24). Nello studio si descrive anche la sinergia con un secondo mAb diretto contro una regione diversa della spike. L’azienda sta lavorando alla versione clinica del mAb che sarà ingegnerizzato per allungarne l’emivita plasmatica e forse conferire altre proprietà terapeutiche. Oltre all’S309, altri tre mAb a forte potere neutralizzante saranno studiati anche in Italia da Giuseppe Novelli in uno studio collaborativo con USA e Canada, che li hanno selezioni dopo uno screening effettuato al centro Toronto Recombinant Antibody Centre dotato di una delle più grandi librerie di anticorpi esistenti al mondo (25). Segnaliamo anche un importante studio attualmente depositato su Bioarchives del gruppo di M. Nussenzweig della Rockfeller University di New York (26).
  • mAb anti-infiammatori. Tra i primi approcci sperimentati in Cina e poi altrove, Italia inclusa, c’è l’utilizzo di tocilizumab, un mAb umanizzato originalmente approvato per la terapia dell’artrite reumatoide. Questo mAb si lega al recettore di IL-6, un’importante citochina che può esercitare sia effetti pro- che anti-infiammatori. Il razionale per utilizzarlo nella infezione da SARS-CoV-2 è di prevenire o migliorare il quadro clinico noto come ARDS (Acute Respiratory Distress Syndrome) già associata alla SARS (27). Un recente studio controllato ha riportato un trend di miglioramento clinico sebbene non statisticamente significativo a causa del basso numero di pazienti arruolati (28). Il monoclonale sarilumab, invece, ha come bersaglio IL-6 stessa ed è allo studio di fase 3 per pazienti COVID-19 (27). Ibrutinib è un altro mAb diretto contro la tirosin chinasi di Bruton utilizzato per prevenire la GVHD (malattia di rigetto del trapianto contro l’ospite) (29).
  • Altri mAb e molecole anti-infiammatorie sono in fase di sperimentazione. Tra questi anakinra, versione farmacologica della molecola naturale nota come IL-1ra (IL-1 receptor antagonist) prodotta in abbondanza da macrofagi e altre cellule e che ha come unica modalità d’azione il blocco competitivo di IL-1á o â al proprio recettore di tipo 1 (il recettore di tipo 2 è in realtà un “decettore” o recettore atipico in grado di legare le citochine ma non di trasdurre un segnale di attivazione alla cellula) (30,31).

Altri antinfiammatori

  • Defibrotide è una miscela polidispersa di polideossiribonucleotidi, unica terapia approvata negli USA contro la malattia veno-occlusiva epatica con insufficienza multiorgano, come sperimentato all’IRCCS San Raffaele di Milano (32). Con la stessa finalità sono in studio molecole note come alfa bloccanti, antagonisti dei recettori á-1 adrenergici che, in linea di principio, sono potenti farmaci in grado di prevenire o mitigare la tempesta citochinica che accompagna la fase acuta dell’infezione da SARS-CoV-2 (33).
  • Interferone-β (IFN-β). É un IFN di tipo 1 che esercita il proprio effetto legandosi al recettore IFNAR, condiviso con IFN-β. Gli effetti antivirali di questi IFN sono molteplici e si esercitano sia direttamente, attivando classici meccanismi come protein kinasi R, RNAsi L e MxA, ma soprattutto attivando trascrizionalmente una famiglia numerosa di IFN-stimulated genes (ISG) (34). Clinicamente, IFN-â è ancora utilizzato nella terapia della sclerosi multipla come mitigatore di autoreattività linfocitaria (35). Il suo utilizzo nella terapia sperimentale della infezione da SARS-CoV-2, da solo o in combinazione con altri antivirali, ha dato risultati incoraggianti. In particolare, l’aggiunta di IFN-â è stata associata ad una riduzione dello shedding virale non solo a livello di mucosa nasale, ma anche in altri campioni clinici in associazione ad un diminuito carico virale misurabile con PCR e miglioramento del quadro clinico senza effetti collaterali significativi (36).

Plasmaterapia e terapia con immunoglobuline (Ig) purificate da persone guarite

Questo approccio risale alla fine dell’800 quando Von Behring lo sperimentò per la terapia della difterite e fu insignito del primo Premio Nobel assegnato nel 1901. Nel tempo la plasmaterapia è stata applicata in assenza di alternative terapeutiche nella pandemia di influenza spagnola del 1918, e, in tempi più recenti, per gli outbreak epidemici di SARS, MERS ed Ebola in Africa (37, 38). Il principio è quello di trasfondere plasma arricchito di anticorpi specifici verso il patogeno in causa, alcuni dei quali con dimostrata o ipotizzata attività neutralizzante. La sua efficacia è dibattuta e, soprattutto, soffre delle molte variabili legate ai diversi donatori, al loro contenuto di Ig, ad altri fattori presenti nel plasma difficilmente controllabili e standardizzabili. Un effetto collaterale è il trasferimento di fattori della coagulazione, potenzialmente utili nel contesto di Ebola, ma inutili e potenzialmente dannosi in pazienti affetti da SARS-CoV-2. Sulla base di studi osservazionali principalmente svolti da IRCCS San Matteo di Pavia e Ospedale Carlo Poma di Mantova, che non hanno segnalato effetti indesiderati di rilievo ed hanno riportato un potenziale beneficio dell’approccio, è da poco iniziato uno studio clinico controllato multicentrico nazionale (39). Nel frattempo, la plasmaterapia è applicata in molti altri paesi tra cui gli USA dove a fine aprile alcune migliaia di pazienti sono stati trattati (40). Attendiamo quindi i risultati di questi studi per capire se questo classico approccio empirico sia da considerare nell’evenienza di ulteriori ondate epidemiche dell’infezione.

Un’evoluzione della plasmaterapia è la somministrazione di Ig purificate da pazienti guariti. Questa variante di immunoterapia passiva ha molti vantaggi rispetto alla plasmaterapia in termini di sicurezza, standardizzazione di lotti, conservazione a lungo termine ed altri, tra cui la possibilità di somministrarli a pazienti con diversi gruppi sanguigni. Uno studio basato su questo approccio è imminente presso il NIAID di Bethesda (40).

Eparina e derivati

Eparina è un farmaco anti-coagulante dotato anche di proprietà antivirali già dimostrate nel confronto di diversi virus, incluso il coronavirus della SARS (23) mentre uno studio recente sottomesso per pubblicazione ad una rivista dotata di peer review suggerisce un’attività in vitro contro SARS-CoV-2 (41). Il suo meccanismo d’azione è generalmente attribuito all’interferenza con l’interazione del virus col proprio recettore di superficie anche dovuto alla diversa carica elettrostatica delle proteine spike e dell’eparina; tuttavia, nei confronti del virus Zika, eparina è stata riportata interferire con gli effetti citopatici del virus ma non con la sua replicazione in precursori neuronali suggerendo un meccanismo d’azione più complesso (42). A questa attività antivirale si associa un’attività antiinfiammatoria sistemica che è considerata di potenziale beneficio per prevenire o lenire i quadri di ARDS osservati nei pazienti con infezione da SARS-CoV-2 (43).

Conclusioni

In attesa di risultati da studi clinici controllati, comprensivi di un braccio placebo o standard of care, per esempio quelli su remdesivir, che richiedono un numero di pazienti spesso difficile da raggiungere per il miglioramento complessivo dell’epidemia osservato nelle ultime settimane, rimangono i risultati parziali di questi e altri approcci. L’auspicio è che i risultati ottenuti siano comunque analizzabili e confrontabili tra loro per definire uno o più protocolli terapeutici nel caso temuto di una seconda ondata epidemica il prossimo autunno.

 

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