La scorsa estate programmando il numero di marzo 2022, ci eravamo proposti di fare una sorta di confronto sugli esiti delle strategie vaccinali nei vari paesi, soprattutto quelli europei e socialmente più simili a noi. Prudenzialmente avevamo deciso di scrivere all’ultimo momento, consapevoli delle numerose variabili che si sarebbero intrecciate. Ciononostante abbiamo osservato come anche i modelli epidemiologici più accurati, siano risultati spesso imperfetti. Il tentativo di modulare strategie vaccinali (uptake e calendarizzazioni finalizzate al mantenimento di adeguati livelli anticorpali) con gli interventi di sanità pubblica (restrizioni e distanziamento sociale) non hanno impedito la ricorrenza di ondate epidemiche, soprattutto come conseguenza dell’emergenza di varianti virali con rilevanza clinica (VOC): fra tutti l’evento più atteso ma anche il meno prevedibile nei tempi e nelle caratteristiche. A tutto questo va aggiunto un elemento che ha avuto rilevanza drammatica in questi due anni: i modelli epidemiologici e prospettici più accurati hanno sempre dovuto mediare e non raramente scontrarsi con le “esigenze” della politica, dell’economia e non ultimo del consenso. Non è ovviamente il bilancio di un insuccesso, al contrario, ma la consapevolezza di un’incertezza e quindi di una fragilità che persistono.
La campagna vaccinale in Italia, soprattutto all’inizio, come spesso accade nel nostro paese, è stata criticata per presunte inefficienze e ritardi. In realtà, la tempistica a livello comunitario venne ampiamente contingentata, e tutti i paesi subirono ritardi nelle forniture, sia in funzione delle disponibilità di dosi che della necessità di non creare disparità tra gli stati membri. I paesi UE più popolosi e più duramente colpiti nella prima fase (Italia, Francia, Spagna e Germania) hanno effettuato in maniera sostanzialmente appaiata la somministrazione del ciclo vaccinale completo (prima e seconda dose) (Tabella 1).
Portogallo e Spagna, in larga misura per la spontanea adesione della popolazione, si sono distinte per aver rapidamente raggiunto una copertura quasi completa. La Polonia, il maggiore tra i paesi UE dell’est, viene qui segnalata come paradigmatica di una parte dell’Europa dove la campagna vaccinale ha incontrato le maggiori resistenze. La scelta della Comunità Europea fu quella di concentrare lo sforzo iniziale nei soggetti a maggiore rischio, ricorrendo a una schedula vaccinale a dosi ravvicinate: quella che normalmente consente di raggiungere più rapidamente una quantità elevata di anticorpi nel siero. Il Regno Unito ormai fuori dall’UE scelse una strategia differente non senza attriti con gli ex partner. Somministrò rapidamente un maggiore numero di prime dosi in modo da coprire almeno parzialmente una quota maggiore di popolazione, dilazionando maggiormente la somministrazione della seconda dose; a questo doveva seguire un graduale abbandono delle misure restrittive. La comparsa della variante delta, che si diffuse prima a Londra poi in tutto il Regno Unito nella primavera del 2021, con la sua maggiore capacità di trasmissione, finirà per avere un impatto che forse sarebbe stato minore se l’allentamento delle restrizioni nei mesi estivi fosse stato più graduale (1).
In Italia nella settimana 48° del 2021 il monitoraggio delle VOC sul territorio nazionale indicava una prevalenza di delta del 98.1% e di omicron dello 0.8%. Nello stesso report alla settimana 52° del 2021 la prevalenza di delta era scesa al 25.7%, quella di omicron salita al 74.2% (fonte ECDC) (Figura 1).
Considerata la preannunciata elevata trasmissibilità di omicron rispetto alle varianti precedenti, era ampiamente prevedibile la drammatica impennata di casi puntualmente registrata nel nostro paese proprio all’inizio delle festività natalizie. Cionondimeno per quanto detto prima, il mese di dicembre poco si prestava a un inasprimento delle misure restrittive e purtroppo a posteriori crediamo sia difficile dire che il mese di gennaio sarebbe stato differente in termini di impatto sul SSN se entro la prima settimana di dicembre si fossero introdotte maggiori limitazioni. Va detto che al di là del numero dei contagi dei mesi di dicembre e gennaio, per quanto manchino ancora dati ufficiali, è verosimile che molte delle forme più gravi di malattia osservate nel periodo (soprattutto nei soggetti non vaccinati e purtroppo nei pazienti anziani vaccinati con due dosi, ma con condizioni di rischio) fossero ancora da attribuire alla variante delta. A supporto di questo ad esempio, il fatto che la Germania che, rispetto alle ondate precedenti, ha pagato uno dei prezzi più alti in termini di ricoveri e decessi nei mesi di ottobre e novembre, alla settimana 48° del 2021, registrava ancora una prevalenza di delta del 99.3% e di omicron dello 0.7% (fonte ECDC) (Figura 2).
Israele il 6 gennaio 2021 firma un accordo con Pfizer che gli garantisce forniture adeguate del vaccino BNT162b2, ed è il primo paese a introdurre un certificato vaccinale (18 febbraio 2021) o in alternativa l’esibizione di un test negativo per poter accedere in determinati spazi pubblici. Questi interventi, uniti alle dimensioni contenute del paese e alla propensione di buona parte della popolazione alla campagna vaccinale, consentirono di somministrare in tempi estremamente rapidi un ciclo vaccinale completo (2 dosi) a oltre metà della popolazione, con ricadute clamorosamente favorevoli (Tabella 1). Per lo stesso motivo e in tempi purtroppo più rapidi di quanto atteso, in Israele prima che altrove venne documentato il rischio di forme gravi di malattia anche nelle persone più fragili sottoposte a un ciclo completo di vaccinazione, ma il cui titolo anticorpale rapidamente diminuito non risultava altrettanto efficace nella protezione da alcune VOC emergenti: alla fine di luglio 2021 Israele iniziò la somministrazione delle terze dosi (booster). Sempre in Israele, prima che altrove emersero forme di strenua resistenza alla pratica vaccinale da parte di gruppi etnici e religiosi ultraortodossi, tali che al rapido uptake iniziale seguì una sorta di stallo nell’estensione della copertura alla restante popolazione (Tabella 1) (2).
Questa polarizzazione è stata forse ancora più emblematica negli USA, dove all’iniziale rapidità nella copertura dei più fragili ha fatto seguito un sostanziale arresto della campagna vaccinale, condizionata da forti motivazioni politiche: ancora oggi la situazione negli USA è tale che soprattutto negli stati conservatori l’uptake vaccinale si mantiene su livelli molto bassi.
Molti paesi hanno introdotto forme di obbligo vaccinale più o meno estese. I risultati sono stati abbastanza controversi: le fasce di popolazione che meglio hanno risposto sono state quelle tra la II e la III decade, ma ovviamente più in relazione al rifiuto di sottostare a restrizioni sociali che alla percezione della malattia. Ovviamente le misure coercitive sono state tanto più aspre e divisive, laddove era maggiore la resistenza alla pratica vaccinale. In Italia e Francia il grado di accettazione della vaccinazione anti-SARS-CoV-2 è stato stimato di poco superiore al 50%. In Spagna e Portogallo il grado di esitazione è stato estremamente limitato. La Spagna è stata uno dei primi paesi a introdurre un certificato vaccinale, che è però stato rapidamente rimosso stante la spontanea adesione della popolazione. Nel Regno Unito non si è mai ritenuto che l’introduzione di forme di obbligatorietà potesse influenzare in maniera significativa l’esito della campagna vaccinale. è ovvio quindi che l’utilità di uno strumento prescrittivo non può prescindere dal grado di fiducia della popolazione nelle istituzioni; dal livello di accettazione dello strumento vaccinale; dal concomitante rispetto delle misure comportamentali di prevenzione (3) (Figura 3).
L’efficacia di un ciclo completo con vaccino a mRNA nella prevenzione di malattia grave sostenuta dalla variante omicron è stimata intorno al 70%. La somministrazione della dose booster aumenta un po’ questa percentuale. Resta per ora difficile stabilire se l’attenuazione dell’ultima ondata a cui stiamo assistendo nel nostro paese vada attribuita al numero crescente di terze dosi somministrate, oppure al fatto che omicron abbia generato più infezioni che malattie gravi. Secondo alcuni autori le prime due dosi somministrate in tempi molto ravvicinati sono state una sorta di immunizzazione rapida destinata ad indebolirsi rapidamente; la terza dose avrebbe di fatto completato il ciclo (4). La ricaduta pratica di ulteriori dosi dello stesso vaccino che Israele ha già iniziato a somministrare alle persone più fragili è ancora difficile da stimare.
Da un lato non possiamo ancora prevedere l’entità della riduzione anticorpale dopo la terza dose; dall’altro non possiamo non considerare che l’immunità umorale costituisce solo una parte della risposta immunitaria e che il titolo anticorpale potrebbe non essere il marcatore surrogato di protezione ideale. Quanto poi le ripetute ondate di contagio possano costituire ulteriori booster è altrettanto incerto. L’immunità acquisita dopo una normale infezione da coronavirus non ha una durata particolarmente lunga. Ma è anche verosimile che lo stimolo conferito da un comune raffreddore sia diverso da quello che viene da uno stimolo vaccinale o da un’infezione sistemica. Ciò che è molto probabile è che SARS-CoV-2 non potrà scomparire. L’eliminazione di una malattia infettiva mediante l’immunità di gregge, prevede in genere un grado di trasmissibilità basso e l’assenza di sacche di popolazione completamente suscettibili. A questo proposito ipotizzare continue rivaccinazioni quando gran parte del mondo continua a non riceverne, diventa poco utile oltre che moralmente non accettabile.
Il tentativo di immaginare uno scenario paragonabile a quello dell’influenza con ondate annuali mostra altrettanti punti deboli. Innanzitutto l’influenza ha una stagionalità che consente interventi preventivi che ancora non possiamo ipotizzare con SARS-CoV-2. Fortunatamente l’efficacia dei vaccini anti-SARS-CoV-2 non è paragonabile a quella dei vaccini anti-influenzali. Tuttavia il target di popolazione dei soggetti a rischio per influenza grave, per il quale viene annualmente prodotto il vaccino con i ceppi influenzali che circolano nell’emisfero opposto, è notevolmente ridotto rispetto alla popolazione potenzialmente suscettibile di ripetute infezioni gravi da varianti di SARS-CoV-2. Non è scontata una catena produttiva in grado di fornire un numero adeguato di dosi in tempi utili rispetto all’emergenza di VOC sempre diverse (5). Al momento e in una prospettiva non breve sembra di poter intuire che il problema maggiore, anche per le potenziali dimensioni e l’impatto sul sistema sanitario, possa essere rappresentato dai grandi anziani e dai pazienti con gravi patologie concomitanti, che da un lato restano potenzialmente esposti a manifestazioni gravi anche dopo vaccinazioni ripetute, dall’altro rischiano di albergare frequentemente e per tempi prolungati il virus, ponendo problematiche di gestione non indifferenti. Ma non è escluso che per quest’ultima tipologia di pazienti l’aiuto non possa venire più da una auspicabile disponibilità farmacologica, piuttosto che da una strategia vaccinale reiterata ad oltranza.
- Sonabend R, Whittles LK, Imai N, et al. Non-pharmaceutical interventions, vaccinations, and the SARS-CoV-2 delta variant in England: a mathematical modelling study. Lancet 2021; 398:1825-35.
- Antonini M, Atef Eid M, Falkenbach M, et al. An analysis of the COVID-19 vaccination campaign in France, Israel, Italy and Spain and their impact on health and economic outcomes. Health Policy and Technology 2022 in press.
- Mills MC and Ruttenauer T. The effect of mandatory COVID-19 certificate on vaccine uptake: synthetic-control modelling of six country. Lancet Public Health 2022;7(1):615-622.
- Rubin R. COVID-19 Vaccine Makers Plan for Annual Boosters, but it’s not clear they’ll be needed. JAMA 2021; 326:2247-2249.
- Monto AS. The future of SARS-CoV-2 Vaccination – Lessons from Influenza. N Engl J Med 2021; 385;20:1825-1827.