Il 20th European Meeting on HIV & Hepatitis si è aperto con un intervento di D. Paraskevis (University of Athens) sull’impatto ed evoluzione virale di SARS-CoV-2. L'idea che i virus si evolvano per essere meno virulenti è uno dei miti più persistenti sull'evoluzione dei patogeni insieme alla convinzione che l’ampia copertura vaccinale e l’immunità naturale possano in futuro garantire infezioni lievi. A livello di popolazione, l'evoluzione antigenica, in risposta alle pressioni immunitarie dell'ospite, e la fuga immunitaria possono aumentare i tassi di reinfezione e di malattie gravi. La variante successiva ad Omicron dovrà essere antigenicamente differente da quest’ultima e dalle Variant Of Concern (VOC) precedenti per superarne l'immunità. Analisi basate su orologi molecolari hanno datato la scissione di Omicron da altri lignaggi a più di un anno prima della sua comparsa suggerendo la possibilità che esistano o si stiano attualmente formando altre varianti antigenicamente divergenti che potrebbero ancora non essere emerse (1).
N. de Prost (Henri Mondor University Hospital, Francia), sottolinea la presenza di fenotipi clinici differenti associati alle diverse varianti di SARS-CoV-2 e alle caratteristiche della popolazione considerata. Ci sono dati discrepanti sul rischio di ospedalizzazione e mortalità dei pazienti infetti da Omicron poichè correggendo i dati per variabili di confondimento quali età, presenza di comorbidità e stato di vaccinazione, i rischi di ricovero e mortalità risultano pressochè identici nelle differenti ondate epidemiche.
O. Schwartz (Institut Pasteur, Francia) ha presentato diversi studi di valutazione della sensibilità dei diversi sublineages della variante Omicron sottolineando una ridotta sensibilità di BA.1 e BA.2 ai mAbs quali casirivimab (CAS) + imdevimab (IMD) e cilgavimab (CIL) + tixagevimab (TIX) ma non bebtelovimab (2). A tal proposito, lo studio proposto da L. Fiaschi (University of Siena, abstract #5) ha confermato, attraverso saggi di neutralizzazione in vitro, la mancata suscettibilità di BA.1 verso CAS/CIL e la combinazione di bamlanivimab/etesevimab, a differenza delle varianti WT, Delta e AY.4.2 e la suscettibilità a sotrovimab.
Gli studi di efficacia di CAS/IMD (R. Paredes, IrsiCaixa AIDS Research Institute, Spagna) hanno evidenziato una significativa riduzione della mortalità nei pazienti sieronegativi differentemente dai soggetti sieropositivi (3); nessuna differenza è stata invece riscontrata nello stato sierico per CIL+TIX. Sebbene poche mutazioni di resistenza siano state riscontrate in letteratura rispetto a queste combinazioni, il loro esteso utilizzo richiede una sorveglianza post-genomica soprattutto in presenza di viremia persistente. Ad oggi esistono più di 100 trial di fase 3-4 per lo sviluppo di farmaci antivirali contro SARS-CoV-2 (D. Kuritzkes, Harvard Medical School, USA) tra i quali, S-217622, bemnifosbuvir e ensovibep (Figura 1).
AM Geretti (King’s College London) ha sottolineato l’impatto della pandemia da COVID-19 sui pazienti HIV positivi, dalla riduzione della richiesta di test per HIV, al calo del 20% delle nuove diagnosi in Europa, come conseguenza delle restrizioni legate alla pandemia e all’interruzione del rapporto medico-paziente, della somministrazione di ART, dell’utilizzo della PrEP e un impatto sulla salute mentale. L’81% delle nuove infezioni nel 2020 sono state riscontrate nei Paesi dell’Est, con un aumento tra gli IDU.
La seconda giornata è stata dedicata a HIV-1 con una iniziale lettura di P.M. Girard (University Pierre et Marie Curie, Francia) sulle terapie long acting, anche sulla scorta della recente approvazione del regime cabotegravir + rilpivirina (CAB+RPV), legata al successo virologico ed al mantenimento di elevata efficacia dimostrata negli studi FLAIR, ATLAS, ATLAS-2M e LATTE-2 (4-5).
Nei fallimenti osservati si è notata una bassa proporzione di resistenza (1%) principalmente correlata a RPV, con un 20% di effetti collaterali legati al dolore sul sito di inoculo. Nonostante questi nuovi e potenti farmaci rappresentino un enorme progresso della terapia non sono probabilmente la risposta ai problemi di aderenza; i dati di real life, relativi al centro di Parigi, hanno evidenziato che i pazienti candidati al trattamento dovrebbero non avere controindicazioni o interazioni con altri farmaci, non presentare evidenze anche passate di resistenza o precedente fallimento a NNRTI o INI e dovrebbero essere adulti soppressi (RNA <50 copie/ml), in grado di impegnarsi a programmare le visite di dosaggio e capire l'importanza di aderire al programma iniziale, quindi ogni due mesi. I dati del trial CALIBRATE con il regime LEN+FTC/TAF (lenacapavir/emtricitabina/tenofovir alafenamide) nei soggetti naive a 54 settimane, hanno riportato un basso numero di effetti collaterali associati al dolore nel sito di inoculo e solo due soggetti con resistenza per incompleta aderenza a FTC/TAF; nello studio CAPPELLA (6) in soggetti experienced si conclude come LEN sottocutaneo in combinazione con un regime di background ottimizzato porti a tassi elevati di soppressione virologica e recupero immunologico e sia ben tollerato, supportandone l’utilizzo nel paziente multiresistente. Molti degli studi su islatravir (ISL) hanno visto invece lo stop degli arruolamenti a causa dell’osservato decremento dei linfociti CD4 associato all’aumento di concentrazione del farmaco che saranno oggetto di studi di dosaggio (R. Campo, MSD).
Per i nuovi farmaci antiretrovirali A. Marcelin (UPMC, Francia) ha indicato la necessità dell’esecuzione del test di resistenza per l’inibitore dell’ingresso fostemsavir (FTR) che incontra però difficoltà di esecuzione legate alla variabilità del gene env, ma non per ibalizumab (IBA), per il quale occorre definire i determinanti genetici di resistenza. L’emergenza di resistenza al fallimento con CAB e LEN renderebbero utile l’esecuzione del test. Sebbene anche la resistenza trasmessa per gli INI di seconda generazione nei paesi del consorzio MEDITRES (Francia, Grecia, Spagna, Italia e Portogallo) mostri bassi livelli negli anni recenti (2018-2021, 6/2705, 0.23%) una continua sorveglianza rimane necessaria (F. Garcia, Hospital Universitario San Cecilio, Spagna). La sessione dedicata alle nuove tecnologie nella virologia ha visto due presentazioni di M. Delporte (Ghent University, Belgio) sulla quantificazione del reservoir latente di HIV mediante metodiche 3-plex (target: DNA totale, PSI-Ψ RNA packaging signal, e env) e 5-plex (target: env, gag, pol, PSI e DNA totale) in Digital PCR. Nonostante l’esigua numerosità dei pazienti testati (50 e 16) entrambi i metodi hanno mostrato un limite di rilevazione di 5 copie/µl e una buona capacità di distinguere virus intatti e difettivi che si attestavano sul 5.6% del totale.
Il successo dell’impiego della tecnologia a mRNA per i vaccini contro SARS-CoV-2 ha ravvivato la speranza del suo utilizzo per la costruzione di un vaccino efficace contro HIV-1. Tuttavia come riportato da G. Silvestri (Emory University School of Medicine, USA) vi sono 5 caratteristiche essenziali dell'infezione da HIV che complicano la progettazione del vaccino ma anche importanti acquisizioni recenti da poter sfruttare (Figura 2) (7-10).
Il terzo giorno, focalizzato sui virus epatitici, si è aperto con un intervento di J. Guedj (Universitè de Paris) sull’implementazione dei modelli matematici per la comprensione della dinamica virale di HBV; tali modelli ad oggi funzionano bene solo sul breve periodo ma, implementati con ulteriori parametri come HBsAg, HBeAg e RNA, permetterebbero una valutazione sul lungo periodo (5 anni dall’inizio del trattamento), la comparazione dei nuovi trattamenti di combinazione con i precedenti e l’ottimizzazione della durata del trattamento e del dosaggio, anche a livello del singolo paziente.
V. Svicher (Università di Roma Tor Vergata), sottolinea la necessità di standardizzare e ottimizzare i saggi per la quantificazione dell’HDV-RNA, influenzati da diversità genetica dei diversi genotipi e dalla struttura complessa del genoma, per il monitoraggio della progressione della malattia e la risposta virologica ai farmaci. Anche i marcatori di HBV potrebbero avere un ruolo nella caratterizzazione dell’attività replicativa di HDV.
G. Papatheodoridis (University of Athens) ha presentato tra le strategie terapeutiche per il trattamento di HBV/HDV, l’utilizzo di bulevirtide, inibitore dell’ingresso, approvato nel 2020 e lonafarnib, inibitore della farnesiltransferasi anche in combinazione con ritonavir e PegIFNʎ (11), a sottolineare l’importanza dell’uso combinato di farmaci con diversi meccanismi di azione per migliorare ulteriormente i tassi di risposta, come già evidenziato per PegIFNα/ADV e PegIFNα/TDF.
- Markov PV, Katzourakis A, Stilianakis NI. Antigenic evolution will lead to new SARS-CoV-2 variants with unpredictable severity. Nat Rev Microbiol. 2022;20:251-252.
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- Overton ET, Richmond G, Rizzardini G, et al. Long-acting cabotegravir and rilpivirine dosed every 2 months in adults with HIV-1 infection (ATLAS-2M), 48-week results: a randomised, multicentre, open-label, phase 3b, non-inferiority study. Lancet. 2021;396:1994-2005.
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