n. 3 - Marzo 2016
  L'ottimizzazione nel trattamento
dell'epatite cronica C: focus su daclatasvir
Nesrine Gamal e Pietro Andreone
Centro Studi e Ricerca sulle Epatiti, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Bologna
Programma Dipartimentale Innovazione Terapeutica Epatopatie Croniche (ITEC),
AOU di Bologna, Policlinico Sant’Orsola-Malpighi
 
 
Daclatasvir (DCV) è un farmaco antivirale ad azione diretta (DAA) in grado di inibire il complesso NS5A del virus dell’epatite C (HCV) precludendo la replicazione virale, l'assemblaggio e la secrezione (1). DCV è stato valutato nei pazienti sia naive che experienced, di vari genotipi, inclusi i pazienti con malattia epatica avanzata (2, 3). DCV deve essere utilizzato in combinazione con sofosbuvir (SOF) e rappresenta un regime tutto orale che, nei trial clinici, ha fornito alti tassi di risposta virologica sostenuta (SVR) fino al 100% (2,4).
A giugno 2014, il comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) dell'Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ha adottato un parere positivo all'immissione in commercio di DCV in combinazione con altri farmaci per il trattamento dell’epatite C cronica (CHC) negli adulti.
Negli ultimi due anni, sono stati fatti importanti progressi nel trattamento dell'epatite C, che hanno permesso il raggiungimento di elevate percentuali di guarigioni. Per la concreta possibilità di modificare finalmente la storia naturale della malattia da HCV, la trasmissione e la reinfezione, tutte le persone HCV positive sono potenziali candidati al trattamento. Tuttavia, a causa dell'elevato rischio di progressione dell'epatopatia, al fine di ottimizzare il trattamento per HCV, meritano una particolare attenzione i pazienti con fibrosi avanzata e cirrosi, i pazienti con infezione da GT3, con coinfezione da HCV/HIV e i pazienti trapiantati di fegato.
Scopo di questa review è sintetizzare gli ultimi risultati degli studi su DCV, riguardanti i trial clinici e i programmi di uso compassionevole per il trattamento dei pazienti con CHC e di quelli a più elevato bisogno terapeutico.
   
I pazienti con fibrosi avanzata/cirrosi
Nonostante il rischio residuo di epatocarcinoma, l'eradicazione di HCV è stata associata a regressione della fibrosi, riduzione del rischio di scompenso epatico e di ipertensione portale. Ed è quindi un obiettivo strategico rilevante nei pazienti con malattia più avanzata, in particolare nei pazienti con genotipo 3 (GT3) che - per un insieme di fattori che includono dati di prevalenza, disponibilità limitata di terapie efficaci, elevato rischio di progressione - rappresentano oggi la categoria di pazienti più difficili da trattare. Da qui nasce l'interesse per i dati dei programmi di uso compassionevole su DCV + SOF, al momento l'unica combinazione pangenotipica raccomandata dalle linee guida EASL 2015, che costituiscono la prova sul campo per la validazione dei risultati ottenuti negli studi randomizzati controllati. ► continua
 
Coinfezione HCV/HIV
Lo studio ALLY-2, pubblicato sul New England (9), ha dimostrato che DCV + SOF è, per efficacia e tollerabilità, una valida opzione di trattamento per il paziente con coinfezione HCV/HIV. In questo studio, il regime DCV + SOF senza RBV è stato valutato in tutti i genotipi e in pazienti in trattamento con differenti regimi antiretrovirali. ► continua
 
Recidiva di HCV dopo trapianto di fegato
Come per la coinfezione da HIV, il post-trapianto si configura come l’ambito clinico in cui la disponibilità dei nuovi DAA ha cambiato radicalmente il corso della malattia da HCV. Rispetto al trattamento con DCV, Kwo e coll. hanno riportato i dati preliminari del protocollo “expanded access” americano (12) che sta valutando l'efficacia di DCV + SOF per 24 settimane in pazienti con recidiva post-trapianto di fegato con fibrosi avanzata (F3/F4), a prescindere dal genotipo di HCV. ► continua
 
Conclusioni
Complessivamente, questi dati confermano che i regimi terapeutici a base di DCV si caratterizzano per un elevato tasso di efficacia, il buon profilo di sicurezza e la mancanza di interazioni farmacologiche clinicamente significative anche nelle popolazioni più difficili da trattare quali i pazienti con GT3, malattia epatica avanzata o con cirrosi, i coinfetti con HIV e quelli con recidiva post-trapianto di fegato.
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