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Dal 9° Congresso nazionale SIMIT |
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Tenofovir
nell’epatite cronica B:
una prospettiva
a lungo termine |
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“La chiave di volta su cui basare oggi il trattamento dell’epatite B cronica è l’individuazione, nel contesto di una storia naturale complessa e dinamica, del cosiddetto 'punto nave' del paziente, tenendo conto delle principali coordinate quali lo stato sierologico (HBeAg, IgM-antiHBc, HBV-DNA), i livelli di transaminasi, ed eventualmente l’esame istologico, al fine di definire con la massima precisione possibile la condizione di malattia ed identificando contemporaneamente la tendenza all’evolutività ed optare di conseguenza per le più opportune strategie terapeutiche”. Con queste parole, durante un simposio realizzato con il contributo non condizionato di Gilead in occasione del recente congresso della Società di Malattie Infettive e Tropicali, è stata sottolineata l’importanza di una personalizzazione della terapia antivirale che deve tenere conto di molteplici elementi non prescindibili dalla storia naturale della malattia che si intende curare. |
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Obiettivi e strategie
di terapia |
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Dopo avere individuato nel soggetto con malattia in fase immuno attiva (HBeAg positivo, con HBV-DNA > 20.000 UI/mL e transaminasi elevate), oppure nel soggetto anti-HBe con riattivazione della replicazione virale e della citolisi epatica, i pazienti che debbono essere considerati per il trattamento, sono stati definiti gli obiettivi e le strategie della terapia anti-HBV. “L’obiettivo ideale in entrambe le fasi di malattia - ha aggiunto il professor Massimo Puoti - è quello di raggiungere con un trattamento di durata definita un duraturo controllo della replicazione virale, evento in genere accompagnato da sieroconversione ad anti-HBe negli HBeAg positivi, o anti-HBs sia negli HBeAg positivi e HBeAg negativi. Purtroppo questo obiettivo è ancora in gran parte utopico e si ottiene in un sottogruppo di pazienti. continua |
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Tollerabilità e mantenimento
della soppressione virale |
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“Qualora si renda necessario un controllo a lungo termine con NA dell’infezione da virus B, la scelta deve cadere sulle molecole che garantiscano elevata potenza ed elevata barriera genetica, ovvero, allo stato attuale, su tenofovir o entecavir, sostenute da diverse esperienze cliniche che ne confermano l’efficacia antivirale a lungo termine”, ha sottolineato il professor Puoti riferendosi ai risultati degli studi GS-102 e GS-103 che hanno valutato l’efficacia a 4 anni del trattamento con tenofovir nei pazienti con epatite cronica B. continua |
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Il paziente con cirrosi |
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Riprendendo i concetti della storia naturale della malattia da HBV, è stata focalizzata l’attenzione sul paziente affetto da cirrosi epatica con o senza segni di scompenso, ponendo l’accento sull’impatto della terapia antivirale sulla progressione della malattia, sull’evoluzione verso l’epatocarcinoma e la morte. "Anche in questo caso, emerge l’importanza, confermata dalle aggiornatissime linee guida italiane, di trattare il paziente con cirrosi indipendentemente dal valore di HBV-DNA o dal livello delle transaminasi, ha esordito la professoressa Teresa Santantonio. Inoltre, per la gran parte dei pazienti, specie con cirrosi avanzata o scompensata, il trattamento di prima linea consiste nell’uso a tempo indefinito di tenofovir o entecavir. continua |
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Il paziente con trapianto epatico |
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Quanto al tema delle strategie anti-HBV nel trapianto di fegato, “molto è cambiato nell’approccio al paziente con cirrosi da virus B da avviare al trapianto con l’avvento della profilassi per prevenire la recidiva dell’infezione, causa molto frequente di morte o ritrapianto, - ha esordito il professor Paolo Grossi – tanto che la cirrosi HBV-correlata rappresentava una controindicazione al trapianto nell’era pre-profilassi.
La disponibilità delle immunoglobuline specifiche (HBIg) e di potenti farmaci antivirali ha rappresentato una rivoluzione aprendo la via al trapianto per i soggetti con infezione da virus B, ma anche all’uso, in determinate situazioni, di donatori anti-HBc positivi".
Tuttavia, arrivare al trapianto con una viremia elevata (> 100.000 cp/mL) rappresenta un elevato fattore di rischio per la recidiva dell’infezione nonostante l’uso della profilassi con HBIg e lamivudina (Figura 10), anche per la rapida selezione di mutanti resistenti all'antivirale. |
continua |
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