Un recente trial internazionale (Lifson AR et al. AIDS 2017; 31:953-923) ha osservato come nei soggetti HIV+ asintomatici un inizio precoce di ART possa essere correlato ad un vantaggio complessivo in termini di qualità di vita. Nonostante questi risultati, la prevalenza dei disturbi neurocognitivi connessi all’infezione (HAND = HIV associated Neurocognitive Disorders) non sembra essere in riduzione, ma attestarsi su percentuali variabili fra il 15 e 55% della popolazione HIV+, in bse alle diverse modalità di valutazione delle performace neurocognitive.
Dai dati di CHARTER, studio che raccoglie i dati da sei diversi centri americani, coortinati dell’Università di San Diego, la prevalenza sembra attestarsi intorno al 50%. Inoltre, giacché i soggetti con infezione da HIV hanno oggigiorno una normale aspettativa di vita e invecchiano parimente alla popolazione generale, nei prossimi anni la prevalenza di questi disturbi è destinata ad aumentare.
All’interno dello spettro di HAND possiamo identificare tre sottotipi di disabilità che, in ordine di gravità crescente, corrispondono a disturbi asintomatici (ANI = asymptomatic neurocognitive impairment), identificabili ai soli test neurocognitivi, forme lievi di deficit (MND = mild neurocognitive disorder) o forme più severe e conclamate (HAD = HIV associated dementia). La prevalenza di queste tre forme è cambiata molto con l’avvento della terapia antivirale combinata, divenendo attualmente predominanti le forme più lievi (Heaton R et al. Neurology 2010; 75:2087-96) (20% ANI pre-cART vs 70% ANI post-cART). Alcuni autori hanno inoltre identificato alcuni fattori di rischio per sviluppare dei disturbi dello spettro HAND, come la formazione di un reservoir precoce di HIV nel sistema nervoso centrale (SNC) durante l’infezione acuta; ciò infatti determinerebbe un’infiammazione neuronale persistente (Spudich S et al. Cold Spring Harb Perspect Med 2012; 2:1-17), il cosiddetto “legacy effect”. Alcuni farmaci antiretrovirali inoltre possono avere effetti collaterali neurotossici ed è noto che i soggetti HIV+ mostrano invecchiamento precoce e accelerato del sistema nervoso a confronto con la popolazione generale; entrambi questi elementi determinano una maggior suscettibilità dei soggetti HIV+ nei confronti dei disturbi neurocognitivi. Infine, differenti fattori genetici comportano differenti gradi di vulnerabilità del sistema nervoso agli insulti neurotossici.
Dal punto di vista fisiopatologico, HIV penetra nel sistema nervoso centrale infettando principalmente gli astrociti e la microglia ma non direttamente i neuroni; ciononostante, l’infezione delle cellule della glia causa un rilascio a cascata di citochine, chemochine, stress ossidativo e esotossicità che in ultimo conducono ad un danno funzionale a carico anche delle cellule neuronali. Ci sono differenti tecniche di imaging che permettono di studiare nello specifico l’insulto infettivo e infiammatorio che HIV causa durante questi primi step di invasione del Sistema Nervoso Centrale. Ad esempio, alcuni studi di neuroimaging permettono di documentare e comparare i soggetti HIV+ e controlli HIV- i cambiamenti nei volumi di corteccia cerebrale, l’infiammazione associata con l’uso di psicostimolanti come metanfetamine, la diminuzione nei trasportatori SNC di dopamina e la conseguente minor funzione di questo neurotrasmettitore molto rilevante nelle performance neurocognitive. Anche gli squilibri fra altri neurotrasmettitori sembrano essere correlati ad attivazione persistente delle cellule della glia, a manifestazioni più severe dello spettro HAND, a performance peggiori ai testi neurocognitivi e sono alterazioni ritenute determinanti anche nell’invecchiamento precoce e accelerato del sistema nervoso di questi soggetti confrontati con la popolazione generale.
Nei soggetti HIV+ inoltre ci sono molte altre comuni comorbidità che contribuiscono al deterioramento delle performance neurocognitive come infezioni opportunistiche, altre co-infezioni, abuso di sostanze, depressione, farmaci cART e non-cART correlati, disturbi neurocognitivi connessi all’invecchiamento e malattie cardiovascolari.
Napapon Sailasuta, dall’università delle Hawai, Honolulu, ha presentato un cross sectional MRS study in cui si quantificava GSH, marker di difesa nei confronti dello stress ossidativo, in soggetti HIV+ comparati a controlli HIV- attraverso la 3T single-voxel proton MRS per determinare eventuali cambiamenti nei suoi livelli prima e dopo l’inizio della terapia antivirale e per individuare eventuali correlazioni con alcuni parametri clinici (#437). Al baseline, lo score di performance neurocognitivo considerato dagli autori, NPZ4, è risultato inversamente correlato con i livelli di stress ossidativo durante l’infezione acuta prima dell’inizio della terapia antivirale [r=0.47; p=0.015]. Inoltre, a livello dei gangli della base, nei soggetti naive e nei soggetti in cART da meno di 6 mesi, i livelli di GSH sono risultati inferiori, comparati ai controlli sani. Tuttavia, i livelli di GSH dopo 24 mesi di cART sono risultati superiori ai livelli al baseline [p=0.007]. A livello della sostanza bianca nelle corteccia frontale invece, i livelli di GSH sembrano mostrano un trend di crescita rispetto al baseline già dopo 6 mesi dall’inizio della terapia antivirale.
Ned W Sacktor, dall’università John Hopkins di Baltimora ha presentato uno studio che aveva l’obiettivo di valutare la deposizione di amiloide, marker patologico patognomonico della malattia di Alzeheimer, attraverso la PET [18F] AV-45 in soggetti >50 anni stratificati a seconda dello status di sieropositività e dello stadio HAND (#438). Gli autori hanno inoltre valutato le eventuali differenze nella deposizione di questo marker nei soggetti HIV+ <50 anni comparati a controlli HIV-. Tuttavia, diversamente dalle attese, gli autori hanno documentato un aumento nella deposizione di amiloide alle immagini PET solo in una minoranza dei soggetti HIV+ comparati ai controlli HIV- (in particolare, nella fascia d’età fra i 50 i 59 anni) ma questo aumento non correlava con le performance cognitive dei soggetti stessi.
Jeremy Strain, di Washington ha presentato invece un lavoro che voleva integrare la definizione di “frailty”, ad oggi assegnata solo sulla base di alcune caratteristiche fisiche (perdita di peso, livello di attività fisica, forza e andatura) con alcuni biomarker derivanti dalle misurazioni del flusso sanguigno cerebrale e dall’imaging di tensor diffusion (#439). Gli autori hanno anche studiato la presenza di un’eventuale correlazione fra questi biomarkers e la performance cognitiva (valutata attraverso il Global Deficit Score GDS). Nella sessione dei risultati, gli autori mostrano che i soggetti HIV+ “frailty” sono caratterizzati, rispetto ai soggetti HIV+ “non frailty” da una peggiore attività metabolica cerebrale e da una diminuzione nella struttura delle connessioni cerebrali. Gli autori suggeriscono infine che questo approccio integrato permetta di individuare le alterazioni neurocognitive più precocemente degli approcci standard con test neurocognitivi.
Dima A. Hammoud, del NIH di Bethesda, ha illustrato un interessante studio sulla presenza di eventuali anormalità nel metabolismo del glucosio, attestato attraverso l’uso di [18F]FDG-PET, nei soggetti HIV+ virologicamente soppressi, il ruolo delle comorbidità in queste eventuali anormalità del FDG e la correlazione con i disturbi neurocognitivi (#40). I risultati di questo gruppo mostrano un complessivo ipometabolismo del glucosio nei soggetti HIV+ comparati ai controlli HIV- senza comorbidità. L’ipometabolismo del glucosio a livello talamico era, invece, presente sia nel confronto fra soggetti HIV+ con i controlli HIV- senza comorbidità che nel confronto con i soggetti HIV- senza comorbidità. Tuttavia, i risultati non hanno mostrato una correlazione statisticamente significativa fra le alterazioni del metabolismo del FDG con il deterioramento cognitivo evidenziato ai test neurocognitivi dei soggetti in studio.