Ampio spazio infine è stato dato ai progressi effettuati in tema di eradicazione di HIV e vaccinazione anti-HIV (THE CURE).
Nell’ambito delle classiche strategie di semplificazione, la classe degli inibitori delle integrasi e, in particolare, dolutegravir gioca ancora un ruolo cruciale. Incoraggianti in termini di efficacia virale i risultati degli studi di fase III SWORD 1&2 (Llibre JL et al, #O44LB) documentanti la non inferiorità, a 48 settimane, dello switch all’associazione dolutegravir e rilpivirina (regime a due farmaci in monosomministrazione giornaliera senza l’impiego di un potenziatore farmacocinetico) rispetto alla prosecuzione del regime antiretrovirale standard a tre farmaci.
Meno ottimistico è invece lo scenario della monoterapia con dolutegravir come emerge dal lavoro olandese del gruppo DOMONO (Wijting I et al, #451LB) o dall’analisi retrospettiva multicentrica (Blanco JL et al, #O42) in cui dolutegravir, pur confermando la propria potenza ed efficacia, non sembra avere una barriera genetica così alta da permetterne l’utilizzo in monoterapia.
Si mantiene vivo l’interesse degli sperimentatori verso i farmaci a lunga durata di azione e a lento rilascio (long-acting and extended-release drugs), somministrabili per via endovenosa o intramuscolare o tramite impianti sottocutanei, con l’indubbio vantaggio di ridurre il pill burden, permettere vie di somministrazione alternative a quella orale, favorire l’assunzione della terapia in aree in cui ancora alto è lo stigma sociale dell’HIV, associato a favorevoli profili di resistenza e tossicità (Flexner CW et al, #O147). Dopo il successo dello studio LATTE, vengono presentati i risultati del trial LATTE-2 (Margolis DA et al, #442), in cui le formulazioni iniettabili di cabotegravir e rilpivirina a lento rilascio, somministrabili 1 o 2 volte al mese, mostrano efficacia virologica a 144 settimane e buoni profili di resistenza e tossicità.
Grande il vantaggio di queste molecole nella PrEP soprattutto per l’impatto sull’aderenza. Il trial di fase II HPTN 076 (Bekker L-G et al, #421LB), condotto in Africa e Stati Uniti tra donne sessualmente attive con sierologia negativa per HIV, analizza la somministrazione intramuscolare ogni 8 settimane di rilpivirina e ne dimostra l’efficacia e la sicurezza come regime di PrEP.
Nel corso della conferenza si è parlato, inoltre, dell’utilizzo di anticorpi monoclonali come terapia di salvataggio per ceppi virali multiresistenti. Ibalizumab, somministrato due volte a settimana, si lega al recettore linfocitario CD4 impedendo l’ingresso del virus nella cellula; la sua associazione ad una terapia antiretrovirale ottimizzata ha dato prova di limitata attività antivirale (SLewis S et al, 449LB - Lin H-H et al., 438). PRO 140, antagonista del recettore CCR5, somministrato settimanalmente, ha invece mostrato efficacia virologica fino a 96 settimane (Lalezari J et al, #437).
Si continua, infine, a parlare di strategie di prevenzione (“trattare per prevenire il contagio”): treatment as prevention – TasP – da una parte e pre-exposure prophylaxis – PrEP - dall’altra. In questo contesto, il modello messo in pratica nella città di New York (Daskalakis DC et al #O108) ne è un brillante esempio: partendo dall’esecuzione del test HIV, indipendemente dallo status sierologico, viene garantito analogo accesso alla terapia antiretrovirale e alle strutture sanitarie, sia in forma di prevenzione (PrEP) sia di trattamento (TasP). |