Cancer & Aging
Paolo Maggi, Università di Bari

E, soprattutto, qual è l’incidenza attuale di tumori non-AIDS definenti? Diversi sono stati gli studi presentati al CROI di quest’anno focalizzati su questa problematica.
L. Shepherd ha presentato dati interessanti sul rapporto tra fumo di sigaretta e tumori, dimostrando che, dopo un anno dalla cessazione del fumo di sigaretta, l’incidenza di tutti tipi di neoplasia cala al livello di quella dei non fumatori, tranne che per il cancro al polmone che, anche dopo oltre cinque anni, non mostra cali significativi. Gli autori concludono sottolineando l’importanza di efficaci interventi sul fumo e la necessità di uno screening a lungo termine per il cancro al polmone (Shepherd et al. # 131).

F. Palella ha osservato un incremento sproporzionato delle comorbidità e delle poli-morbidità tra le donne anziane, i pazienti di etnia nera, e gli assicurati pubblici americani. Gli autori suggeriscono che queste categorie di soggetti socialmente svantaggiati, dovrebbero essere sottoposte a specifici interventi diagnostici e assistenziali (Palella F et al. #663).

I dati di Silverberg mostrano che le neoplasie AIDS definenti attualmente più comuni sono tuttora il sarcoma di Kaposi e i linfomi non-Hodgkin. Il cancro al polmone e alla prostata sono i tumori di maggior riscontro non-AIDS correlati. I tumori virus correlati più frequenti sono invece il linfoma di Hodgkin, il tumore anale ed epatico.  Un dato a mio avviso importante è che il precoce inizio della ART risultava in un 47% di riduzione di rischio per ogni cancro (p=0.002), in un 42% di riduzione per quelli non-virus correlate (p=0.032) e in un 60% di riduzione per gli AIDS correlati (p=0.007). Come probabilmente atteso invece, non vi era riduzione per i tumori virus-correlati (p=0.91). (Silverberg M et al.#598). Anche nello studio presentato su una casistica di donne HIV-positive un precoce inizio della ART risultava protettivo nei confronti di tutti i tipi di cancro e in quelli non AIDS correlati, mentre non risultava di beneficio nei tumori AIDS correlati (Salters K et al.#559).
In uno studio condotto tra il 1996 e il 2012, il rischio di tumori AIDS correlati (sarcoma di Kaposi, linfomi non-Hodgkin e carcinoma della cervice), di alcuni tumori virus correlati (orofaringe/tonsille, ano, vagina, vulva, pene e fegato) e del tumore al polmone risultava elevato nei primi anni del periodo di studio. Il rischio era anche elevato per alcuni tumori rari (laringe, scroto, congiuntiva e sindrome mielodisplastica) ma non per diversi tra quelli più comuni (colon-retto, mammella e prostata). Il rischio per tutti i tre gruppi (AIDS correlati, virus correlati e non-virus correlati) è progressivamente calato negli anni di osservazione. Tra i dieci tumori selezionati per una valutazione più dettagliata, sei (KS, linfoma diffuso a grandi cellule B, linfoma NH del SNC, anale, epatico e polmonare) mostravano un significativo calo tra il 1996 e il 2012 (Ulises R et al.#600).

Se dunque il trend sembra essere favorevole, comunque la positività per HIV resta un importante fattore di rischio. Infatti, in un altro studio condotto su un totale di 4.320 HIV-positivi e 480.127 HIV-negativi, rispettivamente per 21.077 PY e 4.372,011 PY, tumori di nuova diagnosi sono comparsi in 195 HIV-positivi e 21.538 HIV-negativi. Combinando tutte le diagnosi, vi era un eccesso del 190% di tumori tra gli HIV-positivi, con variazioni durante il calendario di osservazione. Gli autori confermano il maggior rischio di tumori anche nell’era delle terapie altamente soppressive, e in soggetti senza barriere economiche al loro accesso. Sebbene i tassi declinino nel tempo, i tumori virus correlati restano otto volte più comuni rispetto alla popolazione generale (Burchell AN et al.# 601).

In ambito di aging, molta attenzione è stata posta al problema della frailty e al rischio di cadute dei pazienti. I dati dell’ACTG A5322 dimostrano infatti che i pazienti pre-frail e frail sono significativamente a rischio di cadute. E’ fondamentale secondo gli autori una valutazione sistematica della frailty o anche il semplice test dei 4-m o del grip strength al fine di prevenire il rischio di cadute (Tassiopoulos K. # 666).

Sembra peraltro, secondo i dati di Piggott, che la soppressione virologica con una ART precoce migliori le condizioni socioeconomiche e le comorbidità ma soprattutto riduca la progressione della frailty attraverso un calo dei livelli di infiammazione (Piggott DA. #133).

Dai dati della Erlandson, la presenza di frailty, con o senza deficit neurocognitivi era associata ad un maggior rischio di cadute, disabilità o morte rispetto alla sola presenza di deficit neurocognitivi. Gli autori di questo lavoro sostengono che gli interventi sulla frailty potrebbero essere più importanti rispetto a quelli sulla funzione neurocognitiva (Erlandson K et al. #665).

I processi infiammatori sembrano sempre più essere il vero driver di quelli di invecchiamento. Il calo delle performance deambulatorie e il basso livello funzionale auto-riportato sono associate con elevate livelli di biomarkers infiammatori. In particolare, alti livelli di hsCRP predicono alterazioni del 6-MWD (six-minute walk distance) indipendentemente dall’età (McClintic H.#667).

In Australia, il 50% delle persone HIV-positive hanno oggi più di 50 anni e sono prevalentemente omosessuali con comportamenti che possono favorire il rischio di comorbidità age-related (fumo, consumo di alcol, uso di stupefacenti…), la coorte APPLES, confronta le comorbilità e i fattori di rischio in omosessuali HIV positivi e negativi con età ≥55 anni, rilevando un incremento di comorbidità self-reported anche dopo aggiustamento per età, fumo e BMI (Petoumenos K. # 670).

De Francesco ha poi mostrato come vi sia un apparente avanzamento nell’età biologica anche in pazienti trattati con successo. Il dato non sembra spiegato alla luce di differenze specifiche nelle caratteristiche dei partecipanti allo studio, per cui gli autori ipotizzano un ruolo di HIV sui linfociti e monociti (De Francesco D. #672). 

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