Al contrario, la soppressione della replicazione virale mediante il trattamento è in grado di determinare non solo l’arresto della progressione della malattia ma anche la regressione della fibrosi, migliorando sia la qualità che l’aspettativa di vita dei pazienti (4-6).
In accordo alle linee guida EASL sulla gestione dell’infezione da virus B (6), vi è l’indicazione a trattare i pazienti con epatite cronica B con attiva replicazione (HBV DNA >2.000 UI/mL), con valori di transaminasi superiori al normale, con un’attività necro-infiammatoria e uno stadio di fibrosi - riscontrato all’istologia epatica o con i test non invasivi - almeno moderati. Le linee guida affermano inoltre che per l’indicazione al trattamento si debba sempre considerare l’età del paziente, lo stato di salute generale, la familiarità per epatocarcinoma o cirrosi e le manifestazioni extraepatiche.
Per ottenere un beneficio dalla terapia bisogna raggiungere e mantenere la soppressione della replicazione virale attraverso il trattamento con interferone peghilato o con gli analoghi nucleos(t)idici (NUC) di terza generazione quali tenofovir o entecavir (6-9). L’uso dell’interferone peghilato è però gravato da scarsa tollerabilità, da possibili eventi avversi, in alcuni casi anche severi, da limitate percentuali di successo ed è controindicato in alcune categorie di pazienti come i soggetti anziani o con co-morbidità (immunosoppressione, malattie autoimmuni, depressione o psicosi, cardiopatie o bronco-pneumopatie) (10).
Al contrario, i NUC non hanno limitazioni di utilizzo, sono ben tollerati e possono essere impiegati anche nei pazienti che non intendono essere trattati o hanno fallito un trattamento con interferone.
Per tutte queste ragioni e per l'eccellente efficacia e sicurezza dimostrata sia negli studi registrativi sia nella pratica clinica, la strategia di trattamento con i NUC è diventata la più diffusa nel mondo. Grazie a questi farmaci abbiamo finalmente raggiunto dei risultati che fino a qualche anno fa sembravano impossibili e grazie alle indicazioni delle linee guida il compito del clinico è oggi più facile che in passato. Tuttavia, proprio le linee guida devono essere considerate come i “criteri di minima” per una buona pratica clinica, avendo dei limiti soprattutto per quanto concerne l’avvio del trattamento nei pazienti con un’epatopatia lieve - cioè con stadi di fibrosi inferiori a F2 secondo lo score METAVIR o con valori di stiffness epatica al Fibroscan non indicativi di una fibrosi significativa (11).
La mancata validazione del Fibroscan per la quantificazione della fibrosi nei pazienti con epatite B rende ancora oggi la biopsia epatica lo “standard di riferimento” per la stadiazione dell’epatopatia e per le decisioni terapeutiche che ne conseguono. Non bisogna però dimenticare che la valutazione dello stadio di fibrosi mediante biopsia epatica percutanea non è esente da problemi di accuratezza correlati al difetto di campionamento, alla ridotta dimensione del frustolo e alla variabilità intra- e inter-osservatore, con una discordanza superiore al 60% tra diversi istologi proprio negli stadi intermedi di fibrosi (12). Questa evidenza deve sempre farci considerare la possibile sottostima della reale entità del danno epatico in un congruo numero di pazienti sottoposti ad accertamento bioptico. Peraltro, anche il riscontro istologico di una fibrosi lieve, in un campione bioptico adeguato per la diagnosi, non esclude la possibilità di una rapida progressione dell’epatopatia sia per riacutizzazioni del virus sia per la concomitante presenza di co-fattori di malattia (Figura 4).
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