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Approccio clinico all’assistito cinese |
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Secondariamente, occorre verificare a quali linee guida fare riferimento per l’identificazione del paziente da trattare e della terapia più opportuna. Come evidenziato dalla figura 2, le linee guida dell’European society for the study of the liver (EASL) [1] sembrano le più idonee per la gestione del paziente cinese. |
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Utilizzando la casistica dello studio di Tong et al. [8], risulta infatti evidente come, secondo le raccomandazioni europee, la quota di pazienti con patologia non trattata sia minimale, mentre l’impiego di altre linee guida lascerebbe senza terapia pazienti con evoluzione della malattia verso l’epatocarcinoma e lo scompenso epatico. In assenza della possibilità di ottenere una biopsia epatica o una misurazione affidabile con il Fibroscan, il Risk Score di Tong, definito sulla base dello studio di coorte già citato, consente di identificare i pazienti da trattare nei soggetti che presentano un punteggio ≥3 e HBVDNA >20.000 UI/mL (Figura 3). |
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Particolare senso ha quindi la valutazione dell’età, dei livelli di piastrine e albumina per identificare i soggetti immunotolleranti con aminotrasferasi poco elevate in cui occorre iniziare il trattamento antivirale, e del genotipo di HBV per individuare i candidati alla terapia con interferone peghilato.
Entecavir e tenofovir sono, in accordo alle recenti linee guida EASL [1], farmaci di riferimento nella terapia dell’epatite cronica B.
Per quanto riguarda la scelta terapeutica, tenofovir rappresenta il farmaco di scelta: |
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nelle donne in età fertile per le quali non sia possibile accertare l’utilizzo di una contraccezione efficace |
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nei soggetti già trattati o che possono essere stati trattati con farmaci anti HBV a bassa barriera genetica. |
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Occorre, inoltre, considerare il minor carico economico del trattamento con tenofovir sia nell’ottica del Servizio sanitario italiano che nell’interesse del paziente in caso debba proseguire la terapia in Cina, dove il farmaco è a pagamento.
Un’ultima considerazione riguarda le donne in gravidanza nelle quali occorre azzerare il rischio di trasmissione dell’HBVDNA, che sussiste nonostante l’impiego di protocolli di profilassi neonatale, in presenza di valori di HBVDNA >100 milioni di UI/mL [1].
La dimostrazione dell’efficacia del trattamento antivirale nell’ultimo trimestre di gravidanza nel prevenire la trasmissione perinatale impone il monitoraggio virologico nelle madri con HBVDNA >100 milioni di UI/mL e il trattamento a partire dal terzo trimestre con tenofovir, farmaco che si colloca nella classe di rischio B e sulla cui innocuità in gravidanza esiste un’ampia letteratura nel trattamento della gravida con infezione da HIV. I ginecologi che assistono la paziente nelle ultime fasi di gravidanza e al momento del parto devono infine essere informati sul fatto che il parto cesareo elettivo riduce ulteriormente il rischio di trasmissione rispetto al cesareo d’urgenza. |