Marcatori sierici di fibrosi e Fibroscan
Gli studi che prevedevano l'impiego di tale indice sono stati condotti prevalentemente in pazienti con epatite C cronica, con coinfezione HIV/HCV e con epatopatia alcolica. Tale indice è particolarmente utile nell'escludere la presenza di fibrosi severa [19]. Il Fibrotest è un indice costituito da un panel di cinque marcatori biochimici (2-macroglobulina, aptoglobina, apolipoproteina A1, gamma-GT, bilirubina
totale) aggiustati per fattori epidemiologici quali età e sesso. E' stato validato in diverse coorti di pazienti con epatite C cronica ottenendo risultati talora contrastanti [20-22]. Una recente meta-analisi ha stabilito che il Fibrotest è uno strumento efficiente per la valutazione della fibrosi nei pazienti con epatite C cronica, epatite B cronica, epatopatia alcolica e steatosi epatica, rappresentando una valida alternativa alla biopsia epatica [23]. E' stato anche proposto un approccio sequenziale che combina APRI e Fibrotest. Questo algoritmo, denominato SAFE biopsy, ha come obiettivo quello di ridurre, piuttosto che abolire, il numero di biopsie epatiche che sono necessarie per stadiare correttamente la fibrosi epatica e di ridurre al minimo i casi classificati erroneamente [24].
Tuttavia la maggior parte dei marcatori sierici è stata valutata solo nei pazienti con epatite C e la loro performance diagnostica, oltre che essere fortemente influenzata da condizioni extraepatiche, è lontana dall'essere ottimale per la valutazione della cirrosi. Pertanto la valutazione dei marcatori sierologici non è di grande utilità nella pratica clinica quotidiana, pur avendo interessanti prospettive soprattutto se usati in combinazione con le altre metodiche diagnostiche. In questo contesto si inserisce la misurazione non invasiva della fibrosi epatica mediante la tecnica di elastografia ad impulsi (Fibroscan® Echosens Co. Paris, France). Il test è stato messo a punto nel 2003 da un gruppo di ricerca francese [25]. Il Fibroscan è un esame che consente di valutare il grado di rigidità del fegato misurando la velocità di un'onda a bassa frequenza che attraversa il parenchima epatico. La velocità di propagazione dell'onda è proporzionale alla rigidità del fegato: quanto più il fegato è rigido tanto più velocemente si propaga l'onda meccanica. La liver stiffness è la mediana di dieci misurazioni valide. Nella pratica clinica quando si interpreta il risultato, bisogna tener conto di due parametri: il range interquartile (IQR, variabilità delle misurazioni effettuate) che non deve essere inferiore al 30% rispetto alla mediana e il success rate (rapporto tra il numero di misurazioni valide e il numero di misurazioni totali ottenute durante l'esame) che dovrebbe essere almeno del 60%. Studi condotti su soggetti sani hanno individuato valori di stiffness epatica compresi tra 4.8 kPa e 5.5 kPa, che pertanto sono attualmente considerati i cut-off di normalità [26]. L'elastometria epatica è un esame indolore per il paziente, facile e veloce da eseguire. Controindicazioni all'esame sono la gravidanza e la presenza di dispositivi impiantabili, quali pacemaker o defibrillatori.
Misurare la stiffness può essere difficile o impossibile in pazienti obesi (perché il tessuto adiposo attenua sia l'onda elastica sia gli ultrasuoni) o in quelli con spazi intercostali ristretti o ascite (poiché le onde elastiche non si propagano attraverso i liquidi). Per queste limitazioni l'esame non consente la misurazione dell'elasticità epatica nel 4,5% dei pazienti testati. Il solo fattore indipendente associato al fallimento della misura è risultato un BMI (Body Mass Index) superiore a 28 [27]. Tre recenti studi suggeriscono che i risultati possono essere influenzati da picchi di ALT. Coco et al. ha registrato un aumento nei valori di rigidità del fegato in coincidenza con flare di ALT e un progressivo ritorno ai valori basali in 10 pazienti con epatite cronica virale ed esacerbazioni acute (9 con epatite B) [28].
Studi recenti indicano che in pazienti con epatite virale cronica la persistente soppressione virologica è in grado non solo di arrestare la progressione della fibrosi, ma anche di ottenere la regressione della stessa. Dati su pazienti sottoposti a biopsie epatiche ripetute dopo 3-7 anni dall'inizio del trattamento con lamivudina, adefovir o entecavir hanno dimostrato che una significativa percentuale di pazienti con cirrosi allo stadio iniziale presentava una regressione della fibrosi nelle biopsie di follow-up [29-31]. Tuttavia, ciascuno di questi studi ha incluso un piccolo numero di pazienti e i risultati sono stati fortemente limitati da alcune debolezze metodologiche.
Assai più convincenti sono i dati presentati in occasione del congresso annuale dell'American Association for the Study of Liver Diseases (AASLD) 2011 (figura 2) dell'estensione in aperto di due studi pilota di fase III - gli studi GS-102 e GS-103 - che hanno valutato l'efficacia del trattamento con tenofovir disoproxil fumarato nei pazienti con infezione cronica da virus dell'epatite B.
 
 
Uno dei punti di forza degli studi registrativi di tenofovir è il disegno dello studio e la numerosità del campione.
Gli studi 102 e 103 sono sperimentazioni cliniche multicentriche, randomizzate, in doppio cieco, di Fase III per la valutazione comparativa di tenofovir e adefovir in pazienti affetti da epatite B cronica HBeAg-negativa (Studio 102; n = 375) e HBeAg-positiva (Studio 103; n = 266) con malattia epatica compensata. In entrambi gli studi, dopo 48 settimane in cui i pazienti sono stati randomizzati al trattamento con adefovir o tenofovir, tutti i pazienti hanno continuato in aperto con tenofovir in monoterapia, generando due coorti omogenee ancora in follow-up.