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Premessa |
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Il secondo farmaco antivirale introdotto anni fa nel trattamento dell’epatite B è stato adefovir, analogo nucleotidico particolarmente efficace nel controllare la replicazione di HBV resistente a lamivudina.
Il farmaco è stato quindi utilizzato in Italia soprattutto per il trattamento di pazienti con virus resistente alla lamivudina, con ottimi risultati soprattutto quando aggiunto precocemente dopo la comparsa della resistenza alla lamivudina.
Anche adefovir, tuttavia, così come telbivudina, un altro analogo nucleosidico divenuto disponibile più recentemente, sono farmaci antivirali con barriera genetica alla resistenza inadeguata per un uso in monoterapia, come dimostrato dagli studi che hanno evidenziato come l’uso a lungo termine di questi farmaci si associ a tassi di resistenza significativi, seppur inferiori a quanto si riscontra con lamivudina. |
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Il problema dello sviluppo di resistenza ha quindi rappresentato un elemento di grande importanza clinica negli ultimi anni nel trattamento dell’infezione cronica del virus B in considerazione del fatto che la maggior parte dei pazienti richiede un trattamento a lungo termine, che si è dimostrato favorire la comparsa di resistenza quando vengono utilizzati farmaci a bassa barriera genetica. Ciò ha determinato la necessità di sviluppare una serie di strategie volte a controllare o ancor meglio a prevenire l’insorgenza di resistenza utilizzando un monitoraggio ravvicinato della risposta antivirale con pronta modifica del regime terapeutico in caso di risposta sotto-ottimale o di documentata resistenza al farmaco in uso (3). |
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