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Aterosclerosi
e malattie cardiovascolari |
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Quest’anno sono stati presentati i risultati di numerose ricerche sui marcatori biologici di danno cardiovascolare, sulla patogenesi dell’”infiammazione residua” nelle persone con risposta virologica completa, sulle metodiche più idonee a valutare l’aterosclerosi subclinica e anche sui possibili interventi preventivi da adottare in aggiunta alla correzione dei fattori di rischio tradizionali. |
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Un contributo importante al problema metodologico è stato fornito da Hsue P. (abstract 125) che hanno studiato l’ispessimento dell’intima-media carotidea (IMT) in 12 segmenti della carotide in 285 soggetti con HIV e 40 controlli sieronegativi. In generale, la progressione nel tempo dell’IMT è stata più rapida nelle persone con HIV, ma il dato di maggior interesse è che questo fenomeno è stato significativo a livello della biforcazione carotidea e della carotide interna ma non di quella comune, che è invece il tratto più spesso studiato. |
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Questa osservazione ha ovvie implicazioni per la metodologia da utilizzare negli studi futuri. Per quanto riguarda i marcatori biologici di aterosclerosi, la proteina C reattiva ultrasensibile (hs-CRP) si conferma un marcatore indipendente di ispessimento a livello della biforcazione, mentre i fattori di rischio tradizionali correlano meglio con la progressione a livello della carotide comune; l’importanza dell’hs-CRP emerge anche da un altro studio dello stesso gruppo di ricercatori, in cui questo marcatore è apparso associato in maniera indipendente al grado di riduzione della flow-mediated dilation (FMD) – altro test funzionale di rischio cardiovascolare- in persone HIV+ (Hsue P, abstract 708). |
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Questi ed altri risultati suggeriscono che nell’infezione da HIV, come in altre patologie non infettive, a tutt’oggi l’hs-CRP rimane l’unico marcatore di rischio validato. |
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Per quanto riguarda il ruolo dell’infiammazione nella patogenesi del danno vascolare, in vari studi elevati valori dei marcatori di immunoattivazione (CD38+, HLA-DR+) e di quelli associati ai processi di senescenza (CD57+, CD28-) sono risultati indipendentemente associati ad alterazioni aterosclerotiche della parete arteriosa (Kaplan J, abstract 709, Ford E. abstract 713). Tuttavia non siamo ancora nelle condizioni di stabilire delle relazione di causa-effetto. Quello che è certo è che esiste non solo una “viremia residua”, ma anche una “infiammazione residua”, in quanto lo stato infiammatorio, sebbene a livelli più bassi, persiste anche in pazienti con soppressione virologica; è inoltre probabile che l’inizio precoce della HAART rappresenti un’efficace misura di prevenzione, come dimostrato da Ho et al. (abstract 707), che hanno utilizzato la velocità di propagazione dell'onda di polso (Pulse Wave Velocity) come altro indicatore di rigidità arteriosa, nei pazienti delle due coorti americane SCOPE e OPTIONS, dimostrando una minore rigidità nei soggetti di OPTIONS, che avevano iniziato la terapia in una fase iniziale di infezione. |
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Infine, parlando di prevenzione, impossibile non citare i risultati della coorte D:A:D (Petoumenos, abstract 124), che ha analizzato le abitudini al fumo (e le loro conseguenze) in oltre 33000 persone HIV+ in Europa, Australia e USA, osservando un rischio più che triplicato di infarto miocardico nei fumatori, e circa doppio negli ex-fumatori, rispetto a chi non aveva mai fumato. Se questi dati erano comunque attesi, la notizia positiva è che smettendo di fumare il rischio si riduce progressivamente nel tempo, come avviene d’altra parte nella popolazione HIV negativa. Stesso andamento si osserva per le altre malattie cardiovascolari. |
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Il commento è ovvio: questi risultati rinforzano ulteriormente il peso del fumo di sigaretta come fattore di rischio cardiovascolare per le persone HIV+, e allo stesso tempo dimostrano in maniera inequivocabile i benefici che derivano dalla sua sospensione. |
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