Questa analisi, già presente nell’articolo del NEJM del 2007 è stata ora completata specificamente su lopinavir e indinavir, mostrando che l’associazione tra l’esposizione cumulativa di questi farmaci con l’infarto del miocardio era indipendente dai fattori di rischio cardiovascolare classici quali la dislipidemia, l’alterazione del metabolismo glucidico e il diabete mellito, l’ipertensione o l’uso concomitante di farmaci ipolipemizzanti o ipoglicemizzanti, fattori tutti potenzialmente associati alle alterazioni metaboliche secondarie di questi farmaci, abitualmente boosterati con ritonavir.
 
L’analisi si è, poi, spinta avanti confrontando indinavir con saquinavir per i quali era possibile analizzare l’impatto della baby dose di ritonavir nel procedimento di boosterizzazione e anche in questo caso il rischio di infarto del miocardio associato a indinavir appariva indipendente dall’impatto metabolico, pur evidente di ritonavir. Possiamo, quindi, concludere che gli inibitori della proteasi presentano una tossicità miocardica in parte secondaria al loro impatto metabolico, ma anche indipendente da essa. Indubbiamente l’identificazione di una tossicità cumulativa intrinseca dei PI è stata per molti altrettanto inattesa della tossicità da esposizione recente da abacavir. Per entrambi i fenomeni non saranno, però, gli studi epidemiologici a potere individuare la loro correlazione patogenetica con gli eventi cardiovascolari bensì studi sperimentali e di scienze di base.