Vari poster e comunicazioni, la maggior parte riuniti in una “Themed discussion” svoltasi il lunedì pomeriggio, hanno approfondito questo tema. Di interesse il fatto che, attraverso studi diversi, tutti i gruppi di ricerca hanno ottenuti risultati tra loro compatibili. In uno studio condotto da Hatano H et al (abstract 425) 180 pazienti della coorte americana SCOPE, tutti con viremia inferiore a 50 copie/ml, sono stati studiati con un assay (TMA - transcription-mediated amplification) in grado di misurare valori di RNA < 3 copie/ml; dopo un anno di viremia stabilmente inferiore a 50 copie/ml, il 76%-87% di essi aveva livelli di viremia misurabili con il TMA, che non si sono modificati significativamente durante un follow up di 7 anni. Secondo modelli matematici utilizzati da questi ricercatori, il decay dell’HIV RNA sarebbe pari a 3 copie/anno. La disponibilità di raltegravir, primo inibitore dell’integrasi disponibile in clinica, ha stimolato vari studi volti a verificare la possibilità di influenzare viremia residua e reservoir virali attraverso il blocco dell’integrazione dell’HIV. I risultati sembrano non confermare questa ipotesi. In uno studio condotto all’Università di Pittsburgh, Jones J et al (abstract 423b) hanno attuato una strategia di intensificazione con raltegravir somministrato per 28 giorni in 10 soggetti già trattati con HAART e con HIV-RNA plasmatico inferiore a 50 copie/ml da almeno 12 mesi. Nessuna differenza è stata osservata tra i valori mediani di viremia residua pre- e post intensificazione (1.9 copie/ml prima, 3.2 copie/ml dopo). Questi risultati, secondo gli autori e in accordo con l’ipotesi di Siliciano, dimostrano che con i farmaci antiretrovirali, indipendentemente dalla loro potenza, non sarà mai possibile eliminare il virus HIV. Risultati sovrapponibili sono stati ottenuti anche dal gruppo di J Martinez-Picado, nell’ambito di uno studio randomizzato di intensificazione con raltegravir per 48 settimane, condotto su 65 pazienti con HIV RNA inferiore a 50 copie/ml (abstract 423a). In questi soggetti sono state misurate le diverse forme di HIV DNA: totale, integrato ed episomiale (DNA non integrato in forma circolarizzata). Mentre non sono state osservate modificazioni del DNA totale ed integrato, nel gruppo “intensificato” c’è stato un aumento transitorio e significativo del DNA episomiale dopo 2 settimane. Questi risultati indicano che nuovi cicli di infezione continuano a verificarsi anche nei responders all’HAART e che la somministrazione di raltegravir, bloccando l’integrazione dei nuovi genomi virali, produce un aumento (transitorio) delle forme non integrate, episomiali. L’assenza di variazioni dei valori di DNA totale e integrato conferma che la maggior parte dell’HIV DNA si trova in una forma archiviata e non dinamica.
Anche altri protocolli di intensificazione hanno confermato la stabilità dei reservoir virali, come riportato da R Gandhi (abstract 424) relativamente allo studio ACTG 5173, nel quale è stato valutato l’effetto sui reservoir di una HAART di prima linea contenente enfuvirtide, tenofovir, emtricitabina e saquinavir/ritonavir. Un follow up di 96 settimane non ha mostrato alcun declino del reservoir di cellule latentemente infette.
 
Come commento finale a tutti questi studi si può citare quanto detto da R Siliciano nella sua lettura: i risultati ottenuti con la HAART devono essere fonte di ottimismo, in quanto con alcuni nuovi farmaci si può arrivare ad abbattere di 10 log la replicazione virale (anche se non siamo ancora in grado di misurare questa riduzione della carica virale). La sfida dei prossimi anni è quella di identificare i reservoir virali, in gran parte ancora sconosciuti, e le strategie adatte per attaccarli.